Capitolo XII - Ti amo

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Levi si strinse maggiormente nel cappotto, non udendo alcun suono all'interno dell'abitazione che si mostrava, in tutta la sua orgogliosa grandezza, di fronte a sé.
Nonostante nascondesse tanta oscurità, al di fuori non aveva perso la sua lucentezza: gli intagli della porta, guarnita di chiodi enormi, tanto gentili quanto indecifrabili, probabilmente calcati dal passare degli anni; le enormi finestre coperte da tende, grazie alle quali non era possibile scorgere all'interno, e - infine - il piccolo vialetto selciato, rumoroso e angustamente tortuoso da percorrere anche solo per pochi metri. Tutto, agli occhi del professore, sembrava tanto curato da far sembrare una casa vuota ancora viva, pulsante come il nettare dei fiori, il tremare della terra, il brusio della natura.
Dopo aver suonato una seconda volta, lasciando ondeggiare la busta che teneva tra le mani, si perse nell'osservare il cielo sopra di sé: di un blu scuro e profondo, sembrava volerlo inghiottire nella sua morsa, farlo perdere in migliaia di pensieri, uno più complicato dell'altro, ingarbugliando maggiormente il nodo creatosi all'altezza del suo stomaco, annebbiandogli la mente.
Aveva forse sbagliato a presentarsi a casa di Eren? Deciso a non insistere ulteriormente, sospirò sommessamente, udendo i battiti del suo cuore rallentare.
Forse era meglio così. Non aveva bisogno di incasinarsi maggiormente la vita, non dopo aver resistito tanto a lungo da solo.
Ma allora perché voleva farsi carico dei problemi di quel ragazzo, perdendo di vista i suoi? Cos'era quel bruciore che si espandeva all'altezza del petto, se non l'attrito dei suoi sentimenti che stagliavano nella delusione?
«Professore, buonasera! Che ci fa qui?»
Una voce alle sue spalle lo fece arrestare immediatamente, ormai del tutto convinto a tornare in macchina ed andarsene.
La voce del ragazzo si insinuò nella sua mente, causandogli la stessa sensazione di sempre: un desiderio impaziente, un tremore costante, un cuore completamente stravolto da un sentimento diventato ogni giorno più grande.
Eppure, quella sera, qualcosa di diverso c'era: Eren era diventato maggiorenne e il corvino, finalmente, avrebbe potuto comportarsi in modo naturale con lui.
«Buonasera a te, Jaeger, e auguri», iniziò il più grande, impedendo al castano di porgli ulteriori domande; avrebbero unicamente scombussolato la sua già scarsa sicurezza, che tentava di nascondere dietro la solita espressione indifferente. «Mi sono fatto dare l'indirizzo da Hanji, spero non sia un problema».
Eren non riusciva a calmare i battiti del suo cuore, che sembrava voler abbandonare il suo costato; sentì il sangue corrergli velocemente in tutto il corpo, mettendo sotto sforzo e pressione i suoi vasi sanguigni.
«Certo che no, si figuri... si vuole accomodare?»
I due si erano abbandonati ai più imbarazzanti dei convenevoli, sperando che quella tortura finisse al più presto. I loro sentimenti, seppur dovuti a motivi diversi, erano simili anche in quella situazione: incertezza, felicità, paura, eccitazione.
Eren continuava a crogiolarsi, fin da quando aveva guardato attraverso lo spioncino, in un unico pensiero: perché Levi era lì?
Il professor Ackerman, al contrario, era immerso nella più completa agitazione, dovuta a ciò che sarebbe successo di lì a poco. E, incapace di ignorare la sporcizia e la confusione di ogni stanza in quella casa, si rese conto di quanto fosse grande per una persona sola. Lo Jaeger gli aveva confidato di vivere da solo dalla morte della madre e di non avere più contatti col padre; eppure, vederlo di persona lo privò delle sue forze, rivedendo in quegli occhi smeraldini i suoi, cinerei, ferrigni, vuoti da fin troppo tempo.
Eren si vergognò per il disordine, ma - al tempo stesso - guardò Levi come se la colpa fosse sua: ci fosse stato lui, magari, gli avrebbe chiesto scusa... oppure aiuto; ma lui non c'era. Come mai avrebbe potuto?
«Sono passato per farti gli auguri, visto che oggi non eri in classe. Tieni», iniziò il corvino, una volta spogliatosi del cappotto ed essersi seduto sul divano del soggiorno, porgendo al ragazzo la busta che teneva fra le mani.
Perché Eren lo guardava come se avesse sbagliato qualcosa? A che stava pensando?
Quello sguardo accusatorio, però, svanì velocemente, lasciando il posto agli occhi languidi del castano e alle sue gote arrossate.
«Professore... non doveva...»
Era forse strano che un professore andasse a fare gli auguri ad un suo alunno? Probabilmente sì, ma non dopo quello che Eren aveva condiviso con lui. Gli aveva raccontato parte della sua storia, affidandogli la sua vita nella speranza di non essere tradito, e così era stato.
«Una giacca?», chiese Eren, nonostante la sua fosse chiaramente una domanda retorica. Aperta la busta di carta rigida, pinzettata abilmente per nasconderne il contenuto, il ragazzo aveva stretto tra le mani l'indumento, stirandolo di fronte ai suoi occhi per osservarlo interamente, per poi indossarlo. La misura era perfetta.
«Così smetterai di usare la mia; è vecchia e ti sta piccola».
A quelle parole, Eren arrossì violentemente, spostando lo sguardo da un lato all'altro della stanza, nel tentativo di riprendere lucidità. Quindi Levi l'aveva riconosciuta, si ricordava di lui, del loro incontro; ma allora perché non gli aveva mai detto niente? Perché aveva finto di non conoscerlo? Sul punto di impazzire, lo Jaeger sobbalzò nuovamente quando la mano del professore sfiorò la sua, destandolo dai suoi pensieri.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo, mentre Eren veniva abilmente catturato dalle perle calcedonio dell'uomo di fronte a lui, attratto come un marinaio dal dolce canto di una sirena, prima di venire trascinato con forza vicino alla porta d'ingresso.
«Andiamo, ti offro la cena. Ho visto quelle scatole di ramen istantaneo sul marmo della cucina e no, grazie», ordinò Levi, afferrando le chiavi di casa poste vicino all'entrata e mettendole in mano al più piccolo che, fino a quel momento, lo aveva seguito senza contestare. L'Ackerman si sentì perforare dallo sguardo di Eren, posto in mezzo alle sue scapole, mentre teneva ancora la sua mano.
«Non posso andare conciato così, devo cambiarmi!», contestò lo Jaeger, facendo notare il suo outfit al professore, per poi correre in camera sua. Troppo assorto nei suoi pensieri, il castano non aveva nemmeno domandato la meta: decise quindi di optare per un paio di pantaloni grigi, una maglia a tinta unita nera e delle snickers bianche, il tutto coronato dalla sua nuova giacca, appena ricevuta in regalo.
Tornato in soggiorno, Eren afferrò e portò con sé le cose essenziali: telefono, portafoglio, chiavi e sigarette. Il professore si infastidì parecchio nel vedere l'accendino tra le mani del più piccolo, ma decise di lasciar perdere momentaneamente. Era spaventato, ma al tempo stesso sollevato: temeva un rifiuto più di qualsiasi altra cosa, per cui - da codardo qual era - si lasciò cullare dal silenzio che era sprofondato nella sua macchina, una volta che Eren chiuse la porta di casa a chiave.
«Scegli tu dove andare, è il tuo compleanno», mormorò il corvino, sperando di suscitare qualche reazione nel suo accompagnatore.
Fu in quel momento, infatti, che il ragazzo si risvegliò dai suoi pensieri: si era torturato nel porsi domande, cercare disperatamente risposte, tanto da perdersi anche i momenti più importanti. Consapevole che la mano di Levi aveva abbandonato la sua, si sentì mancare. Fino a quella mattina aveva pianto rumorosamente, privo di alcun tipo di vergogna, reclamando il tempo perso, le occasioni sprecate, gli anni buttati inseguendo il passato, corrompendo il presente e rovinando il futuro.
Doveva vivere quel momento, smettere di sperare di essere amato; godersi la presenza dell'uomo che amava, perdersi nel suo sguardo, accarezzare la loro vicinanza, precipitare nell'abisso delle sue attenzioni, fosse stato anche solo per quella sera.
«Mi stupisca!», disse infine Eren, mostrando il più bello dei sorrisi che aveva da offrire: le guance arrossate, le labbra leggermente schiuse, i denti bianchi perfettamente dritti e i capelli, leggermente più lunghi, che gli ricadevano intorno al viso, incorniciandoglielo, incartandolo quasi come fosse lui il regalo per l'Ackerman.
Il corvino si voltò di scatto verso la strada, sentendosi avvampare, ricordando il cielo notturno che aveva scrutato fino a pochi minuti prima: se le stelle lo avessero osservato in quel momento, di certo il ragazzo avrebbe fatto impallidire l'intero cosmo.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Where stories live. Discover now