Capitolo XV - Fiorire

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I giorni avanzavano, inesorabili. Aprile, con le sue giornate di sole, in cui le ore di luce iniziavano a superare quelle d'ombra, il cui fiore del mese era il tulipano e la pietra il diamante, era ormai arrivato alla sua metà inoltrata, in procinto di finire il turno, lasciare il posto al collega successivo. Al castano, però, maggio non era mai piaciuto molto.
Era quasi un mese che Eren e Levi si frequentavano costantemente, tanto da dormire la maggior parte delle volte insieme, alternando le due case: per quanto preferisse di gran lunga andare dal professore, per scrollarsi di dosso tutti i suoi brutti ricordi, non poteva di certo trasferirsi lì. Per di più, sapeva che scappare non avrebbe mai risolto i suoi problemi, modificato la sua memoria o cancellato il passato.
«Dai, basta studiare, giuro che domani non ti interrogo amore...»
Secondo alcune interpretazioni, il nome 'aprile' derivava dall'etrusco 'Apro', a sua volta derivato dal greco Afrodite, dea dell'amore, a cui era dedicato il mese.
«Non ti conviene farlo, o potrei abituarmici», controbatté il più piccolo, lasciandogli un leggero bacio a fior di labbra, senza però distogliere l'attenzione dal libro di letteratura. In realtà non aveva specificato a cosa si riferisse: all'interrogazione del giorno dopo o al nomignolo con il quale Levi l'aveva chiamato?
Da quando aveva avuto la febbre, la settimana prima, e gli aveva inviato quel messaggio, il corvino si era sentito giustificato nel ricambiare allo stesso modo. La cosa faceva impazzire il suo povero cuore, ancora fragile ed inesperto; ma nonostante questo, aveva quasi timore ad abituarcisi: era troppo presto, e nessuno dei due si era ancora aperto del tutto all'altro.
«Quanto sei noioso».
Secondo altre teorie, il nome 'aprile' derivava invece dal latino 'aperire', cioè 'aprire', per indicare il mese in cui si "schiudevano" piante e fiori; era infatti il mese della rinascita, del risveglio della natura dopo il sonno invernale.
Casa sua, nel giro di poche settimane, sembrava completamente diversa, stravolta: le luci rimanevano spesso accese, data la presenza di un'altra persona, e lo Jaeger si era ritrovato costretto a sistemare più spesso, conoscendo la mania di Levi per la pulizia.
Aveva comprato pentole, padelle, un tagliere e perfino dei piatti nuovi, visto che il professore cucinava spesso per lui, ed aveva anche sostituito la lampadina posta vicino alla scrivania, dove ormai era solito correggere i compiti in classe; Eren si era inoltre disfatto di tutte le sue cianfrusaglie, come certe penne scariche che da anni si ostinava a conservare, e perfino lasciato vuoto un comodino per gli oggetti personali dell'Ackerman, come il telefono, i romanzi e gli occhiali da riposo.
Sorrise involontariamente alla pagina del libro dedicata al 'male di vivere' di Eugenio Montale: anche se non sapeva quanto a lungo sarebbe durata quella felicità, sperava in un 'per sempre', uno di quelli che nelle fiabe vede i protagonisti innamorati fino alla fine dei loro giorni, avviluppati fra le braccia della magia del vero amore.
Per quanto sperasse in quel futuro, il suo cuore rimaneva tormentato. Non sarebbe mai stato in pace finché non avesse scoperto la verità su sua madre, convinto di riuscire a smettere di incolparsi, di odiarsi.
«Moccioso!», lo rimproverò il maggiore, guardandolo mentre si accendeva una sigaretta.
Eren era convinto che, prima o poi, sarebbe riuscito a volersi bene, anche solo un po'.
«Casa mia, regole mie».
Eppure, non smetteva di sorridere. Levi si stava davvero preoccupando per lui, come aveva sognato da ragazzino. Forse era ancora piccolo, impossibilitato dalle circostanze a definirsi un "uomo", ma gli sbuffi del corvino lo tirarono incredibilmente su di morale.
Il giorno dopo avrebbe affrontato il professor Smith, sicuro del fatto che - una volta conosciuta la verità - avrebbe finalmente potuto vivere normalmente, come gli altri ragazzi della sua età. Avrebbe dimenticato suo padre, frequentato l'università, comprato una casa; avrebbe sposato colui che aveva sempre considerato l'amore della sua vita, adottato un figlio. Ma prima di tutto, doveva parlare con Levi, ed era certo che l'avrebbe fatto; ne era sempre più convinto, mentre osservava la sigaretta consumarsi ad ogni tiro.
Gli venne voglia di suonare, di impugnare il violino e consumarsi tra le note, ma la trattenne a malincuore: doveva tornare a studiare, per non sprecare la vita che gli era stata concessa, per onorare quella perduta della madre. Un giorno non avrebbe più fatto certi pensieri, ma avrebbe fatto le cose per sé stesso, e non per onorare vecchie promesse e debiti impossibili da colmare. Non sarebbe bastata la sua intera esistenza per farlo, e non poteva sprecarla nel tentativo di cercare di riportare in vita i morti; erano solo nella sua testa, e lì sarebbero dovuti rimanere fino a scomparire, incapaci di perseguitarlo oltre.
La corsa, il semaforo, le urla, il sangue.
Perché Carla l'avesse salvato, nonostante tutto, non lo capiva ancora. Sapeva che l'amore per i figli fosse imprescindibile, anche da un'azione sconsiderata come la sua, ma non riusciva comunque a capire. A quel tempo era solo un bambino, tanto sciocco da sbagliare in tutto: solo la musica l'aveva salvato. Non avrebbe mai potuto dimenticare le lacrime degli spettatori, gli applausi dei giudici, il sorriso commosso di sua madre, lo sguardo orgoglioso di Grisha.
Carla sembrava così fiera di lui, di dove la vita lo stesse conducendo; non era mai stata un genitore opprimente o una maestra severa, ma era comunque riuscita a lasciargli un ricordo pesante come un macigno sull'anima.
Ironico come per la musica avesse perso sua mamma, e come per Carla avesse abbandonato il violino: suonare era diventato doloroso, come a ricordargli cosa sarebbe potuto diventare, ma chi, in fondo, era realmente. Non avrebbe più potuto pizzicare quelle corde, non dopo aver visto sua mamma spegnersi lentamente, mentre cercava di insegnargli, tra i sussurri, come vivere la vita. E, da quando aveva ripreso l'archetto in mano, che si dimenava come terrorizzato dai sentimenti del musicista, il castano non riusciva a pensare ad altro che al passato, e al suo divenire.
Anche ad Eren, un giorno, sarebbe stato concesso di fiorire. Magari in un aprile come tanti.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora