Capitolo IX - Il festival scolastico

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«Venite a provare il Cosplay Café! Ci trovate a piano terra, di fronte all'aula di musica, nella classe 5ª B!», urlò Connie, seguito a ruota da Ymir, mentre continuavano a distribuire volantini nel cortile della scuola.
I due ringraziarono mentalmente il tempo, oramai diventato mite, che aveva permesso loro di sfoggiare i loro meravigliosi cosplay senza morire dal caldo o, al contrario, dal freddo.
La scuola era stata completamente invasa da stand e bancarelle di ogni genere: si potevano trovare creazioni fatte a mano in fimo, resina e silicone, cibo tradizionale e straniero, indovini, case stregate, concerti e spettacoli teatrali.
L'edificio, sia esternamente che internamente, era decorato da striscioni colorati, indicazioni e cartelli pubblicitari; ogni aula, inoltre, era riccamente adornata seguendo diversi stili: dall'indie al gotico, al tradizionale, fino ad arrivare ad aule completamente incentrate sui colori pastello o ispirate ad altre culture.
«Benvenuta, padrona!», dissero in coro Armin, Jean, Historia ed Eren, inchinandosi leggermente.
«I nostri ragazzi sono tutti davvero ben educati e competenti! Ma la decisione, naturalmente, spetta a lei: con chi preferirebbe passare la giornata?», chiese gentilmente Marco, illustrando ad una delle loro clienti la disponibilità dei camerieri.
«P-potrei chiedere a te?», sussurrò la ragazza, completamente rossa in viso, indicando Eren. Prima che Marco potesse rispondere, Eren le si avvicinò velocemente, prendendola per mano e baciandone il dorso.
«Mia padrona, purtroppo non sono che un umile butler. Non posso servirla, ma suonerò per lei ogni qual volta lo richiederà», disse, guardandola negli occhi con tanta intensità da far rabbrividire dall'eccitazione tutti i presenti.
La ragazza, ancora più rossa in viso, scelse Armin come cameriere e si sedette rapidamente al tavolo.
«Eren, abbiamo aperto giusto da qualche ora e tutti i clienti hanno chiesto solo di te! E poi cosa diavolo era quello?», gli chiese Armin, anche lui nel più totale imbarazzo. Perché Eren era così sexy?
«"Quello" cosa?», chiese innocentemente il castano, passandosi una mano tra i capelli.
«Io l'ho sempre detto: dovevo innamorarmi di te», ridacchiò Armin, scatenando dei gridolini di gioia tra tutte le ragazze nel locale, mentre Jean sbuffava sonoramente. Eren rise, gustandosi la reazione gelosa del Kirschtein, per poi avvicinarsi al tavolo della stessa ragazza di pochi minuti prima.
«Eren, giusto? Allora, io non conosco molti brani...quindi perché non mi suoni qualcosa che piace a te, invece?», chiese dolcemente la ragazza, arrossendo leggermente.
Fino a quel momento, nonostante stesse suonando da ore, non aveva mai ricevuto una richiesta del genere. In fondo, a nessuno di loro importava realmente di lui, del suo talento; in molti non capivano nemmeno quanti sacrifici, ore di pratica e fatica avesse passato prima di arrivare a quel livello di bravura.
Volevano solo un sottofondo musicale, uno sfondo di accompagnamento, senza sapere che il suo strumento non era secondo a nessuno, che si sentiva ed atteggiava da protagonista indiscusso. Sentiva fremere il violino tra le mani, scalciando, quasi come se volesse farsi notare, urlare.
Gli strumenti musicali avevano dunque un'anima?
Quella ragazza, invece, era semplicemente stata sincera: aveva ammesso la sua ignoranza nel campo della musica classica, per cui aveva fatto una richiesta tanto semplice da sembrare quasi banale; Eren, invece, si sentiva in qualche modo sollevato.
«Ogni suo desiderio è un ordine, mia padrona. Questo è il Violin Concerto No. 1, di Niccolò Paganini», disse solennemente Eren, mentre il cuore gli batteva furiosamente nel petto. Ogni fibra del suo corpo scalpitava al pensiero di suonare, dopo tanto tempo, quel brano; Paganini era sempre stato un'ardua sfida per ogni musicista, in particolar modo per lo Jaeger. Aveva "litigato" spesso con il compositore, tentando in ogni modo di fargli onore.
Da bambino non si era mai arreso, e la consapevolezza del fatto che i suoi coetanei cercassero di eguagliarlo, guardando le sue spalle da lontano senza riuscire però a raggiungerle, lo spingeva a dare sempre di più.
Durante gli otto minuti del brano, come già successo in passato, fuori dall'aula si era creata una gran folla, tanto che Marco fu costretto a dividere i clienti per file.
Se Levi lo avesse ascoltato, avrebbe pianto come stava facendo la ragazza di fronte a lui? Sarebbe mai riuscito ad emozionarlo fino a tal punto, a creare un po' di ordine nel suo cuore già tormentato? Ripensava al calore dell'abbraccio del professore, e quasi gli sembrava di esserne ancora avvolto. Perché pensava sempre a lui mentre suonava, perché gli importava più di lui che della sua stessa vita, perché non riusciva ad abbandonare il violino? Troppe domande che non riuscivano a trovare risposta o che, probabilmente, non ne avevano nemmeno una.
Levi aveva mantenuto il segreto sulla sua famiglia, ma perché? Armin gli aveva risposto tante volte, dicendogli che - probabilmente - anche l'Ackerman provava affetto nei suoi confronti, ma naturalmente non poteva affermarlo con certezza.
Eren non si era mai piaciuto, sapeva di condurre una vita dannata e completamente sregolata; spesso faceva pensieri orribili, che cercava di cancellare velocemente dalla sua mente ma che, al contrario, vi permanevano per ore.
A fine del brano, Eren suonava ormai in modo disperato, nonostante la melodia non richiedesse tale intensità. L'archetto sembrava avere vita propria, le note gli scivolavano via dalle mani, anche loro lontane, irraggiungibili.
Perché si trovava improvvisamente nel fondale di un oceano? Riconobbe l'abisso, il suo abisso, nel quale aveva passato tutta la sua vita. Non sentiva più le note, continuava a muovere le dita per creare una melodia che non era più capace di sentire. Chi mai avrebbe potuto amare un mostro?
L'applauso finale lo riportò alla realtà e fu, per Eren, come una boccata d'aria dopo essere quasi annegato. Chiunque, intorno a lui, stava applaudendo, compresi i clienti fuori dall'aula in attesa del loro turno. Perché non fuggivano via da lui?
«Grazie Eren», disse solamente la ragazza, cercando di asciugarsi le lacrime con le maniche della maglia. Quando Eren le offrì il suo fazzoletto, lei gli sorrise nuovamente, tra le lacrime, ricordandogli i due bambini che, anni prima, avevano comprato un bouquet di fiori, appositamente per lui, dopo una sua esibizione. Li aveva pensati molto in quel periodo; forse perché gli mancava suonare per qualcuno?
«Eren, hai un'altra richiesta», disse Jean, indicandogli un tavolo nella zona della classe che avevano reso più "riservata", dividendola con dei paravento.
Armin gli si avvicinò sogghignando, «ha pagato per sentirti suonare per tutta durata della sua permanenza», gli sussurrò, facendogli l'occhiolino.
«Buonasera padrone; il mio nome è Eren, al suo servizio», disse, inchinandosi leggermente.
«Jaeger, come ti sei ridotto a diciassette anni?», disse ghignando l'uomo, canzonandolo e riuscendo a farlo arrossire.
Eren tentò di tenere a bada la rabbia, ricordandosi di star lavorando: quando si accetta di fare il cameriere o, nel suo caso, il butler, si deve essere pronti a subire frecciatine e battutine di ogni genere, naturalmente nei limiti della decenza e dell'umanità.
«Padrone, posso ridurmi in qualsiasi modo lei voglia», sussurrò Eren, senza distogliere lo sguardo da quello del professore, lasciando Levi a bocca aperta. Il corvino aveva deciso di andare al Café di una delle sue classi solo per infastidire un po' il moccioso; voleva farlo impazzire, arrabbiare, anche sclerare se possibile.
«Prima di suonare, portami del tè».
Eren trattenne fortemente l'istinto di chiamarlo "capitano" come faceva in anonimo; decise di stare ancora al gioco, nonostante il suo compito non fosse quello di fare il cameriere.
«Le porto immediatamente il menù dei tè, padrone».
Levi dovette ammettere che farsi chiamare "padrone" da Eren era piuttosto soddisfacente; in più, il cosplay di uno dei membri del Corpo di Ricerca gli calzava a pennello, quasi come se fosse stato creato appositamente per la sua figura alta, slanciata e muscolosa. Mentre l'Ackerman combatteva contro quei pensieri, Eren era tornato velocemente con il menù.
«Ho deciso cosa farti suonare, Jaeger», iniziò il corvino, mentre decideva cosa ordinare, «ma prima, chiamami 'capitano', non 'padrone', moccioso».
Il viso del più piccolo si imporporò mentre tratteneva, a stento, il sorriso; perché voleva che lo chiamasse così? Aveva forse capito che Eren era in realtà lo sconosciuto?
«Come preferisce, capitano».
«Conosci il No. 6 Concert Variations on 'The Last Rose of Summer' in G major di Heinrich Wilhelm Ernst?», disse con tono indifferente il professore, senza guardare il butler vicino a lui. Eren sgranò gli occhi: insieme al Capriccio No. 24 di Paganini, quello di Ernst era considerato uno dei brani più difficili da eseguire col violino.
Deglutì sonoramente, incapace di mentirgli: sì, conosceva bene quel brano. Avrebbe dovuto suonarlo il giorno della morte di sua madre e, per questo, non lo eseguiva da anni, nonostante spesso gli capitava di provare le note senza il violino, per mantenerne vivida la memoria muscolare. Ma era giusto suonare quel brano, nonostante quest'ultimo gli avesse indirettamente portato via Carla?
Senza saperlo, Levi aveva di nuovo scavato nel suo passato; non gli aveva chiesto il permesso, non aveva nemmeno bussato prima di entrare - prepotentemente - nella sua vita.
Eren diede l'ordinazione del tè ad Armin, prima di tornare da Levi; prese un profondo respiro, cosa che non sfuggì all'Ackerman, per poi iniziare a suonare. Alcune estensioni delle dita erano davvero impossibili, ma Eren era cresciuto molto, non era più un bambino, per cui le sue mani arrivarono con minor difficoltà a toccare i punti più difficili. L'Arlert portò il tè, per poi allontanarsi velocemente e lasciare i due da soli.
Eren suonò con tutto sé stesso; una volta suonava per sé, per sua madre e per il pubblico. Adesso suonava solo per il professore, che in quel momento stava sorseggiando in silenzio la sua bevanda senza produrre un suono, tenendo la tazza nel suo solito, e stranissimo, modo.
In quel momento, per Eren, non esisteva nessun altro all'infuori di loro, ed il castano si perse nuovamente nei meandri della sua memoria: eppure, adesso che se lo ritrovava davanti, non riusciva proprio a pensare a Levi.
Gli venne in mente di tutto: l'incontro stabilito con Kenzo il giorno dopo, non appena finito il suo turno, quando da piccolo giocava nel parco con Armin e Mikasa, e anche di come aveva iniziato a suonare. Si soffermò maggiormente su quel ricordo, sorridendo nel bel mezzo della sua esibizione.

Se solo tu mi amassi || Ereri 〜 Riren #Wattys2019Where stories live. Discover now