Capitolo 2- Scelte Amare

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Era da una buona decina di minuti che ci eravamo svegliati ma nessuno dei due aveva avuto ancora il coraggio di abbandonare il letto. Mi scostò i capelli dal volto sistemandomeli dietro l'orecchio. Poi si chinò a lasciarmi un dolce bacio di buongiorno. Sorrise sulle labbra.

Si vedeva che era felice al mio fianco: mi guardava come se fossi l'unica per lui e questo mi disorientava. Perché non poteva essere lo stesso per me? Avevo imparato a respingere le emozioni da così tanto tempo da non riuscire più a sapere cosa volesse dire provare qualcosa.

«A cosa pensi?» mi chiese. Fui salvata dal suono del campanello che mi permise di evitare di rispondere. «Non andare.» Cercò di trattenermi ancora sotto le lenzuola e stavo per desistere, quando sentii il mio nome gridato a gran voce. Mi alzai e indossai una vestaglia. «Resta qui, per favore.» Mi guardò confuso. Lo chiusi all'interno della stanza, per poi avviarmi verso la porta. La aprii con un'espressione tutt'altro che magnanima. «Ti rendi conto che stai urlando, vero?»

Sentii la porta della camera aprirsi e imprecai mentalmente ma, anche se la tentazione fu forte, mantenni il mio sguardo su Arthur. «Non era mia intenzione disturbarti, ma dovevo vedere se stavi bene.»

«Beh, come puoi vedere sto bene.»

«Sì, lo vedo.» Diresse lo sguardo verso Patrick e mi sentii esposta: avevo il terrore che dicesse qualcosa che non volevo che quest'ultimo assolutamente sentisse. «Non mi fai neanche entrare?» mi fissò, chiedendomi un permesso che non gli avrei concesso. 

«Non è un buon momento», dissi a bassa voce.

«Lo è invece, ho bisogno di parlarti.» Sospirai e stavo per dirgli di andarsene, quando lui si rivolse all'uomo alle mie spalle. «Scusami? Problemi di famiglia, è necessario che tu te ne vada. Tanto hai già finito, no?»

Gli gettai un'occhiataccia, poi sentii Patrick avvicinarsi e avvolgermi le spalle con un braccio. «Da quello che ho capito sembra che sia tu quello che deve andarsene.»

«Patrick» lo ammonì di non intromettersi. 

Arthur lo osservò glaciale. Poi abbassò gli occhi su di me. «Vivienne, per favore.»

Non lo capivo, mi sforzavo, ma non lo comprendevo quando si comportava così. Mi tolsi dall'abbraccio di Patrick per avvicinarmi a mio fratello. «Ti prometto che parliamo, ma non adesso. Ora, per favore, va via.»

Mi mossi per rientrare. Arthur mi afferrò per un braccio e notai Patrick avanzare ma gli impedii di intervenire con uno sguardo. Mi fissò nervoso, poi mi accontentò malvolentieri mentre riportò lo sguardo su Arthur per capirne le intenzioni. «Se è per ieri, ti ho già chiesto scusa» insistette.

Scossi la testa, negando, perché per il momento era l'unica cosa che potevo fare. Non avevo altra scelta. «Non ce l'ho con te ma, ora, smettiamola di dare spettacolo.»

Rise amaramente, lasciando la presa da me. Poi puntò gli occhi sull'uomo alle mie spalle. «Benvenuto nel teatrino di Vivienne, caro Patrick. Tu che ti diverti a fare il gradasso, tra poco non sarai più nessuno. Ti lascerà sulla porta proprio come il sottoscritto», disse, lasciandomi basita.

 Ti lascerà sulla porta proprio come il sottoscritto», disse, lasciandomi basita

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