Capitolo 10 - Diffidenza

166 16 22
                                    

Aprii gli occhi e una forte emicrania mi colse. Istintivamente portai le mani alle tempie. Poi mi guardai attorno e capii di essere in un appartamento: osservai ogni singolo dettaglio per capire dove mi trovassi ma soprattutto per capire come ci fossi arrivata dato che non ricordavo nulla, almeno non dopo l'aggressione.

Mi sollevai sentendomi indolenzita ovunque e mi accorsi solo ora di star indossando indumenti maschili e li guardai ancora più confusa, perché non mi capacitavo di quanto successo. Ero in una camera da letto, in un luogo a me completamente estraneo e non seppi che cosa pensare. Il mio sguardo si soffermò sulla cassettiera a lato della stanza e sull'oggetto che vi ci era appoggiato: una pistola.

Mi alzai sentendo inizialmente le gambe tremare, poi si stabilizzarono e ne approfittai per avvicinarmi. L'afferrai e la studiai incerta sul da farsi ma non appena sentii dei passi fuori dalla camera, la impugnai e tolsi la sicura alzandola verso la porta. Esitai involontariamente quando, dopo averla aperta, entrò nella stanza Jonathan che prima si soffermò con lo sguardo sul letto vuoto e poi su di me. Se era allarmato dall'arma puntata sul suo petto, non lo diede a vedere. Anzi alzò le mani per tranquillizzarmi ma esitai ancora un po' prima di abbassarla. «Che cosa ci faccio qui?»

Non sapevo chi fosse l'uomo che mi aveva aggredito lungo l'argine del fiume e questo mi bastava per dubitare di chiunque.

Non rispose subito e questo mi portò a impugnarla con più decisione. Ci analizzammo in silenzio finché lui non lo ruppe. «Sono tornato indietro e l'ho trovata sdraiata e priva di sensi. L'ho portata a casa mia e questo è quanto» mi spiegò.

Lo studiai con attenzione alla ricerca della verità e alla fine abbassai l'arma preferendo credergli, o almeno avevo bisogno di credergli. La scaricai appoggiandola di nuovo sul mobile e quando mi rivoltai verso di lui, trovai un sorriso a incorniciargli le labbra: probabilmente per la mia diffidenza. Tornai a sedermi sul letto e mi persi nei miei pensieri ripercorrendo quel momento sul fiume senza capacitarmi di che cosa realmente fosse avvenuto. Mi avvicinai le gambe al petto e le abbracciai, sentendo ancora la paura impressa sulla mia pelle.

«Forse dovrebbe bere di meno» suggerì l'agente, sedendosi in fondo al letto.

«Sì, forse, ha ragione» mormorai.

«Non prendiamoci in giro, Vivienne!» sbottò dimentico di ogni formalità. Alzai gli occhi su di lui perplessa. «È questo che vuoi, optare per la prima scelta? Fare tutto da sola? Perché sarebbe uno sbaglio. Sei cosparsa di lividi, quindi deve essere successo qualcosa di più di un semplice collasso sulla riva del fiume.»

Sgranai gli occhi allarmata, cercando di mantenere la calma. «Con tutto il rispetto, non sono affari suoi. La ringrazio per quello che ha fatto ma...»

«Non voglio nessun ringraziamento» m'interruppe, brusco.

Lo fissai, presa in contropiede. Non insistetti. «Come preferisce, ora però vorrei andarmene. Dove trovo i miei vestiti?»

«Si stanno asciugando visto che erano finiti nel fiume con lei, quindi si trova costretta a rimanere qui un altro po'. I miei vestiti non glieli lascio» mi disse, tornando alla formalità. Alzai un sopracciglio irritata. Mi portai una mano al petto e mi accorsi di un particolare.

«Dov'è l'intimo che indossavo?»

Mi fissò confuso dalla mia domanda, poi disse: «Non si è fatta problemi a toglierselo davanti a me prima, dovrei credere che ora ha ritrovato un po' di puro imbarazzo?» 

Un campanello d'allarme era sorto nella mia testa e non riuscii a liberarmene. «Me l'ha tolto lei?»

Di di sì, ti prego.

Sangue Del Mio Sangue [Completa]Where stories live. Discover now