Capitolo 27 - Follia Pura

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Mi sollevai a sedere e, sentendo il mondo girare, portai una mano alla tempia ad arginare la forte emicrania che mi aveva colpita. La spossatezza che mi avvolse mi tramortì. Il vuoto si propagò dentro di me nel ricordare la notte appena passata e il casino che avevo combinato. Mi portai una mano sulla bocca nel realizzare quello che mi ero lasciata scappare e la consapevolezza di essere finita in un grosso guaio mi avvolse; perché non doveva succedere, non con Jonathan.

Era un agente, porca miseria! Potevo scommettere che se fosse venuto il momento di scegliere tra me e il suo lavoro, quest'ultimo avrebbe vinto su tutta la linea. Era stato un errore.

Sospirai e provai a riflettere in fretta per trovare una soluzione prima che finissi per fregarmi con le mie stesse mani. I ricordi però dei momenti passati insieme, non volevano saperne di non riaffiorare e così, inevitabilmente, mi sentii ancora più confusa sul da farsi.

Dovevo davvero rinunciare a lui? La risposta fu talmente ovvia che l'accettai, arrendendomi all'evidenza.

Mi alzai e andai a chiudermi in bagno. Quando ebbi finito, mi recai in cucina trovandolo seduto a fumarsi una sigaretta. Mi sembrò quasi che mi stesse aspettando e inevitabilmente il mio battito accelerò.

Mi augurò il buongiorno e ricambiai fredda, dedicandomi alla mia colazione, anche se era l'ultima cosa che volevo fare ma avevo bisogno di distrarmi dal suo sguardo insistente. Preparai il caffè e nell'attesa evitai d'incontrare i suoi occhi, approfittandone per ritrovare la ragionevolezza e per fare chiarezza su quanto era avvenuto, anche se con qualche difficoltà. I ricordi frammentati di quanto avvenuto al locale erano confusi ma, di sicuro, non mi sarei scusata perché era lui quello che se n'era andato la sera prima, lasciandomi da sola nel suo letto.

L'orgoglio era una brutta bestia ma non ci avrei rinunciato per nulla al mondo, soprattutto se farlo avrebbe significato dargliela vinta.

«Come ti senti?» mi chiese con indifferenza e con la stessa gli risposi.

«Sottosopra.» Mi appoggiai alla cucina, sorseggiando il caffè che mi ero preparata. Rimirai la tazza che avevo tra le mani, per poi alzare lo sguardo su di lui. «Non ricordo molto, ma quel poco che rammento basta per dirti di non dar credito a quanto ho detto. Quando bevo, parlo a sproposito.»

Mi fissò in silenzio, fece un tiro. Prendendo tempo. «Non è l'impressione che ho avuto.» 

Il mio cuore perse un battito e lo studiai guardinga, non credendo alle mie orecchie: ovviamente non se l'era bevuta. Sorrisi amaramente, distogliendo lo sguardo e, dopo un attimo di esitazione, me la filai andandomi a vestire.

Lo sapevo che non avrebbe mollato e che non si sarebbe lasciato prendere in giro ma almeno speravo che il tatto non gli mancasse dato che non era qualcosa di cui mi era facile parlare.

Dopo essermi vestita, ritornai da lui con tutta l'intenzione di andarmene dal suo appartamento il più in fretta possibile per evitare che mi ponesse altre domande ma quando me lo trovai davanti, se ne uscii con qualcosa d'inaspettato. «Dobbiamo andare in centrale, ti vogliono parlare.»

«Riguardo a che cosa?» 

«Non ne ho la più pallida idea ma scommetto che lo scopriremo presto.» Mi guardò, mentre io sentii l'ansia crescere dentro di me nell'immaginare i possibili scenari che avrebbero avuto luogo quando avrei messo piede in uno dei loro uffici. Jonathan mi guardò vedendomi distratta. «Vivienne, ci andremo insieme» provò a rassicurarmi. «Lascia parlare me e ti prometto che non ti costringeranno a fare nulla.» 

Ce ne andammo e una volta in strada, ci avviammo verso la sua auto. Nel tragitto la sua mano inaspettatamente sfiorò la mia schiena, scatenandomi emozioni contrastanti e la maggior parte poco caste nel ricordare il tocco con cui si era dedicato alla sottoscritta prima che rovinassi tutto con la mia trovata.

Sangue Del Mio Sangue [Completa]Where stories live. Discover now