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e a t ; ; v k o o k

ㅡ✨ㅡ

novembre 1989
busan, corea del sud

«jungkook-» balbettò taehyung, la mano posata sulle labbra carnose, in preda dal panico.

«sapeva già troppo!» rispose jungkook, chino sul lavabo della cucina, intento a pulire il coltello sporco di sangue. «ho dovuto farlo, cazzo! mi avrebbe denunciato, di sicuro, suvvia...»

si girò di scatto verso il grigio, seduto alla sedia del tavolo, mentre si guardava le punte delle scarpe.

«cazzo. sbrani le persone, vive o morte che siano, e te la prendi con me se mi difendo da mio padre?! cos'hai nel cervello?! e, comunque, erano entrambi vecchi, sarebbero potuti morire da un mese all'altro.»

taehyung rivolse uno sguardo verso il tappeto in soggiorno, sul quale giacevano i signori jeon.

«e ora veloce, su. prendiamo prima lei.» ordinò il corvino, che stava afferrando la madre da sotto le ascelle, mentre, l'altro, dalle caviglie.

la condussero nel garage, pieno di ricordi e oggetti di vecchia data, come, per esempio le foto del piccolo jungkookie; l'immagine, in bianco e nero, lo ritraeva tra le braccia della madre, e taehyung pensò che avrebbe potuto avere non più di sei anni.
un sorriso dipingeva il volto del bambino,  assolutamente incoscente di quello che sarebbe accaduto almeno vent'anni dopo.
chi l'avrebbe mai detto che un ragazzo cosí intelligente e bello come jungkook avrebbe ucciso il padre e successivamente la madre...?

ma il rumore che faceva la sega di jungkook mentre riduceva i suoi stessi genitori in pezzi, lo distrasse dai pensieri, evidentemente felici.

«sembri un macellaio.» disse, inorridito, il più grande.

«parla lui.»

«oh, ti conviene chiudere quella fogna che hai per bocca, non parlare che ti escono fuori una miriade di cellule morte! e se proprio devi blaterare e lamentarti di certe cazzate, fallo a bassa voce, o i vicini potrebbero sentirti.»

jungkook sbatté le braccia della signora jeon nella cariola, e, ㅡsenza dire niente, ma con l'inferno negli occhiㅡ uscí dal garage, dirigendosi in giardino.

taehyung, sebbene fosse molto arrabbiato, lo seguí a ruota.

ci misero un'oretta per fare a pezzi e, poi, seppellire i cadaveri dei defunti signori jeon; jungkook decise di mettere ciascuna parte del corpo sotto quegli stupendi tulipani rosa che, fino al giorno prima, la madre stava coltivando.

jungkook, finito il lavoro, si andò a fare una doccia, per ripulirsi dalla terra, mentre taehyung fece un salto nella camera da letto dei signori jeon, spinto dalla curiosità.

la stanza era occupata principalmente da un letto rifatto, sul quale vi era appoggiata un piumone color blu-cobalto, stesso colore per i cuscini, che all'apparenza sembravano molto soffici.

davanti al letto, e a sinistra della porta di legno, c'era un comò, dotato di un grande specchio, il quale era decorato con alcune vecchie foto: una, risalente al 1952, era stata scattata nel momento in cui i giovani signori jeon, appena sposati, uscivano dalla chiesa nel quale era stata celebrata la cerimonia, mentre amici e parenti gli lanciavano fiorellini.

in un'altra ancora, c'erano jungkook e suo padre, davanti ad una di quelle prestigiose università di seoul. il figlio era vestito in modo formale ed elegante e sul suo capo era stata appoggiata una corona di alloro, segno che si era appena laureato.

e gli si strinse il cuore a vederlo cosí felice e spensierato il giorno della sua laurea, quel sorriso che aveva quel nonsochè di ingenuo ed innocente, totalmente sicuro sul sul futuro.
quello stesso futuro che taehyung aveva accarezzato e frantumato con le sue stesse mani; odiava il fatto che jungkook lo amasse cosí tanto.
decise di tornare in salotto, e sedersi sul divano.

poco dopo, jungkook irruppe in salotto, un asciugamano attorno alla vita, si mise davanti al grigio, in modo che egli potesse vedere tutti i segni rimasti sul corpo: dal primo, attorno alla clavicola, all'ultimo, della mattina stessa, lasciato sulla guancia; si vedevano molto
bene anche altri morsi ㅡalcuni profondi, altri menoㅡ che costellavano tutto il petto, forse anche la schiena.
a taehyung si strinse il cuore.

«perché mi guardi cosí?» chiese jungkook, alzando un sopracciglio ㅡle mani sui fianchi.

«niente è che- ㅡ si cominciò ad accarezzare la cosca, preso dal nervosismo, mentre il corvino si sedeva al suo fiancoㅡ ... ho visto delle fotografie, in camera dei tuoi. eri... eri felice!»

jungkook lanciò gli occhi al cielo. «anche ora lo sono. anzi no, ora sono arrabbiato.»

«sei arrabbiato?» taehyung ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, e guardarlo nelle iridi brune.

«sí, perchè continui a giudicare quello che ho fatto! era l'unica scelta che avevo!»

«oh, giove! jungkook, stai diventando doppiamente malato!»

jungkook si alzó di scatto. «doppiamente malato?! hyung, sono sanissimo, come un pesce!» si poteva vedere l'ira che cominciava ad infuocare i suoi occhi.

«me l'ha detto jimin... che tu sei ㅡritornò a guardarsi le ditaㅡ sei malato di sindrome di stoccolma.»

«haha, molto divertente, hyung. ma stai ancora a sentire quello lí? dopo tutto quello che ha avuto da dire sul nostro amore...»

«è qui che sbagli, kook!» si alzó di scatto anche taehyung; sentí la potenza di jungkook sovrastare prepotente su di lui, come un'ombra che lo faceva diventare minuscolo.

«pensi davvero di avere un futuro? con me?» prese coraggio, deglutendo rumorosamente. «pensi di sposarmi, e avere dei figli? pensi di poter invecchiare con me, l'uno al fianco dell'altro, come una coppietta felice e spensierata? cosa ti rende cosí tanto felice e sicuro a passare la tua vita intera con me? perchè ti fai questo?»

tre colpi alla porta in legno della villetta a mattoni azzurrini dei signori jeon.

taehyung potè intravedere un ragazzo alto e moro dallo spioncino della porta; una goccia di sudore scivolò giù dalla sua tempia, le mani tremanti sulla fredda maniglia di ottone.

«buonasera, sono jung hoseok e ho visto quello che avete fatto ai signori jeon.» disse il ragazzo, con il sorriso più smagliante di sempre.

eat;Where stories live. Discover now