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e a t ; ; v k o o k

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novembre 1989
busan, corea del sud

jeno ancora si chiedeva come nessuno avesse sentito quella conversazione, in aereo, con hoseok.

il viaggio, comunque, era stato estenuante; hoseok parlava, parlava di qualsiasi cosa, e diceva schietto ogni cosa che gli passava per la testa, jeno voleva strapparsi le orecchie.
appena arrivati all'aereoporto internazionale di gimhae, si erano fiondati tutti e quattro suk primo taxi disponibile, che li portò a casa dei genitori di jungkook.
jeno sentiva i brividi che gli assalivano la schiena e il ventre, si sentiva i nervi a fior di pelle, uno sciame di api nello stomaco; ma, palesemente, non si sentiva emozionato. jeno aveva paura, e sembrava essere l'unico.

si sentiva come se l'avessero catapultato in un universo parallelo, dove tutto sembrava color pastello, specialmente quel vialetto, contornato di aiuole verdi, costellate di fiori gialli, bianchi, rossi.
governava la pace, mentre camminavano sull'asfalto grigio, leggermente umido.

"piove sempre." pensò. "piove sempre, quando sono con loro due. portano il maltempo con loro. o magari è solo novem bre"

il vicinato sembrava essere scomparso, nessuna foglia tremava per il vento, nessun uccello osava passare per il firmamento celeste.
seguiva jungkook e taehyung, che avanzavano verso lo steccato bianco di legno, che circondava il perimetro del giardino dall'erba verde, e poco curata.
jeno volse uno sguardo ai tulipani mentre superava il cancelletto della casa, e sentí un altro tuono potente di brividi, come se avesse le vertigini.

jungkook fece accomodare jeno e hoseok sul divano, si tolsero le scarpe.
nessuno diceva niente, nessuno faceva nulla: taehyung si guardava le unghie, hoseok fischiettava una vecchia canzone, jungkook sembrava pensieroso. jeno si guardava attorno.
la calma prima della tempesta, come si suol dire.

jungkook si alzó di scatto dal tavolino al quale era seduto poco prima, schioccó la lingua sul palato e si diresse verso l'uscio.

«vado a fare una passeggiata, ho bisogno di pensare.» pronunció, con un'aria vagamente triste.

gli occhi di jeno saltarono fuori dalle orbite, e sentiva il cuore che cominciava a battere forte, sempre piú forte, gli martellava contro la cassa toracica. jimin l'aveva avvertito, era pericoloso, taehyung, senza la presenza di jungkook. «tu non vai da nessuna parte.» balbettò jeno.

«ha bisogno di una boccata d'aria, lascialo.» taehyung tastò le tasche della sua giaccia, fino ad estrarvi un accendino e un pacchetto di chesterfield blue.

leggere. patetico. pensò hoseok, fece una smorfia.

con estrema lentezza, avvicinó la sigaretta alle labbra, creando con le mani una conca intorno ad essa, facendo prendere fuoco alla carta bianca, dopo una scintilla.
taehyung espirò, una nuvola di fumo uscí dalla sua bocca, e si espanse in un tutto il soggiorno.

taehyung si alzò, non appena la porta di casa venne sbattuta, quel rumore sarebbe potuto essere il rumore del piatto in bronzo di un gong che rimbombava, significava l'inizio della fine.
una fine estenuantemente necessaria.
afferrò il pomello tra le mani che parevano artigli di un corvo nero, e bloccò la serratura.
lentamente, come in agguato, si diresse verso il giradischi, jeno pensò che poteva essere uno di quelli antiquati, fabbricati negli anni sesanta. alzò il braccio del riproduttore, cominciando a fare girare il disco ad una velocità adeguata, la puntina cominciò ad accarezzare la musica.

eat;Where stories live. Discover now