Strano.

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Dopo aver lasciato gli ospiti davanti le loro rispettive stanze e, avergli spiegato brevemente il programma della serata fui fermato da mia madre che mi chiese di andare con lei in sala da pranzo per aiutarla ad apparecchiare. Mia madre è sempre stata una donna molto estroversa, amante del lavoro quanto della propria famiglia. Non mi ha mai messo in secondo piano pur essendo molto spesso impegnata, a volte mi portava con sè al lavoro, io non l'ho mai disturbata, dice. Voglio molto bene a mia madre, mi ha sempre reso felice in un modo o nell'altro anche quando non avevo motivo di esserlo.

Appena entrato nella grande stanza color cera, la melodia di J'Adore Venice di Loredana Bertè invase l'intera stanza. Opera di mia nonna, sicuramente. Mia nonna era la donna della musica, è stata proprio lei ad insegnarmi a suonare vari strumenti come la chitarra, il pianoforte e l'arpa, e non chiedetemi perché, ma si, anche l'arpa.
"Allora, che te ne pare?" interruppe mia madre quella mia riflessione, scrutandomi.
"Di che cosa? Della musica?" feci finta di non capire. Lei ridacchiò. Se c'è una cosa che odio di mia madre è che riesce a leggermi dentro in un attimo. Sa i miei gusti, cosa ne penso su determinati argomenti, il mio pensiero. Sono sempre stato come un libro aperto per lei, e questo potrebbe sembrare a mio vantaggio, ma diciamocelo, c'è sempre qualcosa che si vuole nascondere, soprattutto alla propria madre, ed il fatto lei riuscisse a capire subito cosa non andasse era da sempre stata una mia condanna. 
"Ti sta già antipatico?" domandò ancora con un certo tono disperato seppur divertito.
"È entrato ed ha praticamente ignorato la mia esistenza, pur essendo al suo fianco." sbuffai.
"Magari non ti ha visto, oddio Axel come sei precipitoso." sospirò passandomi le forchette che avrei dovuto distribuire accanto ad ogni piatto. Non risposi, semplicemente finì di apparecchiare e feci per salire le scale ed entrare in camera mia.

Appena entrato mi tuffai nel letto mettendo le braccia sotto la testa nel vano tentativo di chiudere anche per un solo secondo gli occhi, e riposarmi.
Anche annoiarsi è stancante dopotutto. Quel momento di pace però non duro più di 3 secondi, perché vidi aprire la porta del bagno che era comunicante con quella di Maxence. Ed esattamente come immaginavo lo vidi entrare in camera mia. Non bussò, non mi guardò, si diresse soltanto verso lo specchio.
Era avvolto da un asciugamano teso in vita mentre in un braccio reggeva dei boxer e un paio di jeans neri.
Il modo insolente con la quale fece quell'azione, di aprire camera mia senza bussare, presentarsi quasi, se non del tutto, mezzonudo, senza chiedermi di girarmi, magari si imbarazzava, del resto neanche lo conoscevo, mi rese terribilmente instabile.
Lo guardai senza proferire parola, mentre con una mossa felina si mise i boxer, facendo per un secondo vedere il profilo di una sua natica, più chiara rispetto al colorito di tutto il corpo. Dopodiché si infilò i jeans, stavolta con un po' più di fatica dato che faceva terribilmente caldo e lui, essendo appena uscito dalla vasca sicuramente sarà stato ancora umidiccio. Ebbi modo di osservare il suo fisico slanciato ed asciutto che muoveva come se in camera fosse solo, con quella tranquillità di chi sa di trovarsi in un posto sicuro, un posto conosciuto e tranquillo, come se entrare in quella stanza per lui fosse un'abitudine. Mi soffermai a guardarlo in viso. Dovevo ammettere che era un bel ragazzo. Aveva dei lineamenti così particolari. Non avevo mai visto un viso come il suo. I capelli sembravano morbidi, e gli ricadevano sulla fronte incorniciandogli il viso poco tondo, poichè si vedevano perfettamente i tratti mascellari ben scolpiti. Oserei dire che aveva un viso perfettamente proporzionato, quasi fosse squadrato su misura. Labbra non troppo grandi ma stranamente carnose, al punto giusto. Cioè, che lo fossero al punto giusto non lo sapevo in realtà, non ancora, fu soltanto una mia impressione.
All'improvviso si girò e mi chiese di scatto: "Ti ho disturbato?".
Mi guardò dritto negli occhi, e non capì il perché di quello sguardo quasi tagliente. Che si era accorto che lo stavo guardando? Ma sapevo comunque che non era colpa mia. È entrato lui nel mio spazio vitale, oserei dire del tutto personale, senza nemmeno proferire parola.
Incapace di rispondere scossi la testa in un modo strano.
"Ci vediamo a cena." rifilò abbozzando un sorriso che mi fece perdere qualche battito, anche se non lo avrei mai ammesso, poi sparì dalla mia visuale, lasciandomi totalmente scioccato da quell'avvenimento.

"È pronto, servitevi pure e niente complimenti." esclamò nonna andandosi a sedere al suo posto, ovviamente accanto a me, lei mi sorrise e mi diede un bacio, che io ricambiai dolcemente. Era nostra una nostra abitudine, forse un po' strana ma lei diceva che la facevo sentire gratificata e con tutta onestà, non me la sentivo di non farlo, lo avrei fatto sempre per lei.
Tutto procedeva come se fosse un rito abituale, i genitori miei e del mio nuovo "coinquilino" parlavano tranquillamente, ridendo e scolandosi una bottiglia intera di un vino rosso pregiato che ci fu gentilmente regalato dagli zii, direttamente dall'Italia, il migliore in circolazione disse mio padre. Mio padre era un uomo molto buono, sapeva sempre come coinvolgere le persone nel modo giusto, senza essere invadente ne' indiscreto. Una delle cose più adoravo fare con lui era la pesca del sabato mattina all'alba. Era davvero gratificante stare in sua compagnia, a volte gli raccontavo della mia vita, di alcuni episodi che magari avevo vissuto negativamente, e lui ascoltava, senza mai fiatare, e mi chiedeva sempre il permesso prima di darmi il suo parere. E credetemi se vi dico che ogni suo consiglio è stata una benedizione.

Quando arrivò il momento "delle carte", ovvero il momento del gioco d'azzardo, io mi alzai e mi diressi in cucina. Sentì come un' ombra che mi seguiva, e altro non era che Maxence. In realtà è come se me lo aspettassi. "Non ti piace giocare a carte?" mi chiese inarcando un sopracciglio. "Generalmente non a quest'ora." risposi aprendo la porta, cosi' da invitarlo a seguirmi in giardino. Mi sedetti nel mio amato dondolo verde e giallo e lo vidi arrivare e fece i miei stessi movimenti. "Che cosa fai allora, generalmente?" mi chiese ancora. "Esco, ascolto musica, leggo, suono." risposi guardando le stelle che si nascondevano dietro le grandi chiome degli alberi presenti nel giardino. "D'estate, e d'inverno?" continuava a domandarmi, e non capì il perchè di questa improvvisa curiosità nei miei confronti, ma non mi dispiacque per nulla se devo essere onesto. "Gioco a carte con mia nonna." lui mi guardò quasi scattando. "Hai detto che non ti piace giocare a carte a quest'ora." disse ovvio, forse convinto di aver trovato in me una contraddizione. "Generalmente ho detto" gli rifilai sorridendogli. Rise e mi guardò. Credo mi stesse facendo un'altra domanda quando mio padre ci interruppe. "Ah eccovi, Axel, sono arrivati i tuoi cugini con la zia Annele." Così mi alzai e senti lo sguardo di Maxence seguirmi ma ancora non si alzò. Entrai in casa e subito notai come la stanza parve riempirsi con i miei 5 cugini e con la loro allegria incomparabile. Salutai tutti e poi mi andai a sedere nella solita poltrona rossa, e notai che quindi la nonna non c'era, però mi bastò sporgermi per vedere che dalla cucina stava preparando il caffè insieme alla zia. "Axel, ti va di suonarci qualcosa?" chiese mia madre speranzosa che rispondessi positivamente. Vidi spuntare Maxence con una sigaretta tra le dita e mi osservava appoggiato allo stipite della porta. Mi alzai senza proferire parola e mi andai a sedere nella panca  del pianoforte. Quella sera decisi di suonare Apollo e Hyacinth di Mozart.

Parfois. || Maxel ||Where stories live. Discover now