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Quando si risveglia, vede il volto di Zao chino su di lui. Quello sguardo ruvido e caldo scintilla come brace al vento non appena nota i suoi occhi aperti. – Finalmente, – fa con un sospiro di sollievo, – non ne potevo più di aspettare!

John si risolleva a fatica, trovandosi disteso in una piccola stanza in legno scuro, con una porta a destra e una grande finestra aperta sul davanti, sotto alla quale si staglia un tavolino apparecchiato con cibo e bevande.

– Cos'è successo?

Zao gli sorride sornione catturandogli lo sguardo e investendolo di parole: – Ci aspettavano, sai! Sono venuti a cercarci! I monaci di questo convento sono buddhisti, della scuola theravada, che poi non so che significhi, ma fa una certa impressione! Li comanda un certo Sirrush; ti hanno soccorso e portato qui. Sono stati tutti molto accoglienti e gentili. Mi hanno fatto assaggiare il tom kha kai, una specie di zuppa, e ho provato anche dei grilli fritti... con quelle zampette... da film dell'orrore, ma loro ridevano, i monaci più giovani intendo, quelli anziani erano più discreti... e continuano a inchinarsi neanche fossimo principi... – ridacchia e continua a parlare a ruota libera.

John osserva suo marito, trasportato a migliaia di chilometri da casa, in un paese straniero, senza i documenti necessari, senza sapere la lingua, che si diverte come un bambino in un luna park, completamente privo di ogni razionale timore. E un calore proveniente dal più profondo del cuore lo travolge, invadendo ogni fibra del suo essere. Non potrebbe amarlo di più nemmeno se lo volesse. Zao. E la sua capacità di rendere tutto leggero, di trasformare ogni cosa in gioco. Allunga una mano ad accarezzargli il viso e quel fiume di parole si arresta, abbagliato dal suo sguardo.

Un istante dopo entra un giovane monaco che sorride a tutta bocca vedendolo sveglio, esce di corsa e parlotta sulla soglia con qualcuno in tono gioviale, poi rientra e con gentilezza si accosta a John tastandogli il polso, annuisce soddisfatto e, in un inglese incerto, dice: – Sirrush attende. Dopo cibo, sì? – fa indicando le ciotole di frutta, verdura e riso disposte sul tavolino.

Dopo avere fatto uno spuntino leggero, escono dalla stanza, ritrovandosi in un vasto giardino interno, circondato da un porticato a due piani in legno verniciato d'azzurro, che conduce ai diversi locali del monastero. Il forte chiacchiericcio della fauna locale, nascosta dalla vegetazione lussureggiante, invade il loro udito.

Al centro del giardino, accanto a una fontana ricoperta da fiori di loto e circondata da mangrovie e orchidee, staziona un uomo dai tratti mediorientali, robusto e con il capo rasato, che indossa la tonaca arancione dei monaci.

Non c'è nulla di particolare in lui, niente che spicchi nel suo aspetto, eccetto lo sguardo, intenso e magnetico. Scure e scintillanti schegge di carbone si voltano a fissarli e li attraggono a sé, senza il bisogno di una sola parola. Quando John e Zao lo raggiungono, l'uomo si inchina, congiungendo le mani al petto. – Sawasdee krap, * io mio chiamo Sirrush, – dice in perfetto inglese, – sono l'abate del Monastero del Drago. – Accenna a una scultura posta in cima alla fontana alle sue spalle, che rappresenta un drago alato dormiente, avvolto tra le sue spire.

– Il drago, – spiega con voce profonda, – è sempre stato un simbolo di libertà e rappresenta la potenza delle forze naturali. Le prime civiltà umane lo consideravano il Custode degli Dei, Protettore del Cielo e della Terra. Indice di equilibrio. Poi la sua esistenza è entrata nella leggenda.

Zao si acciglia: – Parla come se pensasse che siano esistiti davvero. I draghi, intendo.

Sirrush non replica, limitandosi a lanciargli uno sguardo enigmatico. Le sue labbra si piegano in una smorfia impercettibile. – Mi hai cercato, giovanotto, – dice rivolto a John.

AL DI LÀ DEL CIELO E DEL MARE cap 102-215Where stories live. Discover now