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Parigi, Settembre 2018

Il servizio fotografico terminò dopo quattro ore di pose, scatti, rimproveri. Adrien non ne poteva più. L'abito che indossava, un completo bianco con cravattino e panciotto rossi, era ormai parte integrante della sua pelle. Gli occhi gli bruciavano a causa dei fari puntati sulla faccia. Mancava poco che esplodesse se qualche altra truccatrice si fosse avvicinata per asciugargli il sudore che gli scendeva copioso dalle tempie e dalla nuca.

"Meno male che hanno usato il gel per i capelli." Si passò una mano sulla fronte. "Non avrei retto ai colpi di phon."

La sfilata per la nuova collezione autunnale del marchio Agreste era stata un successo. Gabriel non aveva perso tempo e aveva dato disposizione per un servizio fotografico con protagonista il figlio in modo da pubblicizzare i capi. La dedizione maniacale al lavoro era uno degli aspetti più iconici dello stilista, da quando la sua presenza agli eventi mondani era costante. L'efficienza di Nathalie Sancoeur nell'organizzazione faceva il resto. Nel giro di una settimana, era sempre tutto pronto nei minimi dettagli.

«Ancora un ultimo scatto, raggio di sole.» Il fotografo Vincent puntò la macchina fotografica.

Adrien roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «Mi prometti che è l'ultima?»

«Te lo giuro sulle sfogliatelle di mammà. Fammi un bel sorriso.»

Le labbra di Adrien si incurvarono verso l'alto. Gli parve di avere i muscoli paralizzati e dovette sforzarsi per riuscire ad apparire naturale.

Vincent, con l'occhio penetrato nell'obiettivo, schioccò la lingua sotto al palato. «Non ci siamo. Pensa a una bella pizza con salsicce e friarielli.»

"Questo funzionerebbe più con Plagg che con me." Il risultato rimase il medesimo.

Lo sconforto si disegnò sul volto di Vincent. «No, no, ragazzo mio.» Si massaggiò con due dita il naso adunco. Schioccò le dita ed alzò il capo come se fosse stato colpito da un fulmine. «Ci sono!» Un bagliore gli illuminò gli occhi color ambra. «Pensa a una bella figliola. La più bella che tu conosca.»

Adrien sollevò un sopracciglio, quindi annuì. Chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò la sagoma di una ragazza: più si concentrava, più l'immagine diventava nitida. Occhi come l'oceano, capelli corvini legati in due codini da elastici rossi, tuta rossa a pois neri. Fu un pensiero agrodolce. Ormai erano tre anni che non la vedeva, ma la sua presenza era sempre vivida. Riaprì gli occhi e sorrise.

Il ticchettio della macchina fotografica di Vincent sembrava un metronomo. «Così, bello mio! Questo è il mio raggio di sole!» ripeteva il fotografo.

Quando il faro che gli illuminava il volto si spense, Adrien sbatté le palpebre, come risvegliato da un sogno.

«Pensavo di dover minacciare il signor Vincent perché ti lasciasse andare.» Katami Tsurugi passò accanto al fotografo, che stava mettendo da parte l'attrezzatura, ed ammiccò. «Tutto bene?»

Adrien allargò le braccia con espressione rassegnata. «Non vedevo l'ora che finisse.» Si avviò verso il tendone bianco allestito per il servizio fotografico. Intorno allo spiazzale di Place de la Fontaine-aux-Lions, gli addetti avevano disposto una fila di transenne per tenere lontani eventuali paparazzi, curiosi e fan schizzati. Adrien scomparve dietro un separé bianco. Un unico faretto illuminava l'ambiente, l'aria era a tratti irrespirabile.

«Come hai fatto a superare la sicurezza?» Adrien si sfilò il completo, non senza qualche difficoltà.

«Nathalie mi ha fatta passare. Speravo finissi prima così da poter andare insieme da André, prima di raggiungere la stazione.»

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