17

157 19 13
                                    


L'aria era satura di un odore nauseabondo, un misto di frutta rancida e tabacco. Lo stomaco di Marinette si contrasse, causandole un reflusso. Trattenne a stento un conato e respirò a fondo, seppur a fatica. Venature violacee e rosa squarciavano il cielo plumbeo.

Dove si trovava?

L'ultima cosa che ricordava era un'ombra, un'orrenda figura evanescente che l'afferrava e la risucchiava in un vortice oscuro.

Avanzò. Il sentiero era circondato da rocce smussate. I piedi affondavano nella ghiaia color carbone.

Un urlo acuto echeggiò in lontananza. Stridulo, come le corde di un violino stonato. La mano scivolò d'istinto sul fianco destro, ma la pochette non c'era.

Dannazione.

L'aveva lasciata nella sua camera, Tikki era lì dentro e non avrebbe potuto aiutarla. Non poteva trasformarsi, avrebbe dovuto cavarsela con le sue sole forze. Se solo avesse saputo dove accidenti si trovava.

Il sentiero si divise in una biforcazione: la strada a destra saliva verso l'alto, da dove proveniva l'urlo, l'altra scendeva a ridosso di una foresta di alberi dalla folta chioma scura. Cumuli di rovi si ammassavano ai piedi delle cortecce.

Un brivido gelido corse lungo la schiena di Marinette. Dove andare?

Un altro urlo. Stavolta alle sue spalle.

Marinette corse a nascondersi dietro un grappolo di rocce. Si appoggiò con la schiena, ma si ritrasse subito. La superficie era viscida e ripugnante. Si accorse di tremare.

Una folata di vento spazzò via una manciata di ghiaia. Un rantolo, un soffio inquietante. Marinette sollevò la schiena e fece capolino da dietro la roccia.

La creatura fluttuava a mezz'aria. Aveva la sagoma di una donna scheletrica, longilinea e scura come la notte. Ogni suo movimento corrispondeva ad un alito di vento glaciale e il profilo diveniva evanescente. Gli occhi avevano il colore della lava, due mezzelune che scrutavano i dintorni con aria guardinga, alla ricerca di qualcosa, o qualcuno.

Marinette si acquattò dietro le rocce, le ginocchia strette in petto, attenta a non provocare il minimo rumore. "Ti prego, va via."

Piombò il silenzio.

Marinette si mosse con cautela, nella speranza che la creatura fosse andata a cercare altrove. Avanzò carponi intorno alla roccia e se la ritrovò davanti. Sgranò gli occhi.

La creatura spalancò le fauci, sfoderando zanne affilate. Allungò gli arti superiori, lunghe articolazioni che terminavano in artigli arcuati.

Marinette strinse la mano a pugno, raccogliendo un mucchio di ghiaia, e lo tirò addosso alla creatura. Si alzò di scatto e corse via. Il terreno pesante le rese difficile la fuga. Una ventata le pugnalò la schiena; si gettò in avanti d'istinto, la ghiaia le graffiò gomiti ed avambracci. La creatura le passò sopra e la mancò.

Marinette fece forza su un braccio per risollevare la testa, con l'altro si ripulì il volto dai granelli attaccati. La creatura disegnò una traiettoria ad arco nell'aria e puntò di nuovo contro di lei.

Stavolta non ce la fece a rialzarsi. Le gambe erano paralizzate, le braccia le bruciavano per le abrasioni.

Due braccia la afferrarono per la vita e la sollevarono. Per un attimo il mondo intorno a lei si rovesciò, il viola, il rosa e il nero si mescolarono in un'unica tinta. La gola si occluse, lo stomaco subì diversi spasmi. Serrò le palpebre. Chiunque l'avesse afferrata si gettò sul terreno ghiaioso.

Le scelte della vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora