Capitolo 8.

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Quando si svegliò la mattina successiva, Cesare aveva un sorriso a trentadue denti sul volto.

Era felice, felice come mai lo era stato se non da bambino, in quei rari momenti che ricordava appena.

Il cuore era leggero, libero finalmente di essere felice lontano dai soliti problemi, dalle solite ansie e dai brutti ricordi; esisteva soltanto lui, Nicolas e i sentimenti che li tenevano uniti.

Sorrise al pensiero che un ragazzo di neanche un metro e settanta, più piccolo di lui e con una panda gialla del 2006 gli avesse fatto perdere la ragione e anche il cuore  perché chi mai l'avrebbe detto.

Si prese cinque minuti per se prima di alzarsi; cinque minuti per rivivere la serata precedente.

Ripensò al bacio, agli altri che seguirono mentre, piano piano, si spostavano dalla spiaggia e andavano verso gli scogli per levarsi dalla gente che li accalcava.

Altri baci, altre carezze, la mente confusa dall'alcol e dalle emozioni, le sigarette completamente dimenticate, ancora una volta.

Ricordò in particolare un attimo, che per tutti sarebbe stato irrilevante, ma non per lui: per Cesare quello era l'attimo, il momento in cui aveva compreso totalmente che ormai non poteva tornare indietro, che ormai, in quella storia, ci era cascato con entrambi i piedi.

Lì, sugli scogli, dopo una serie infinita di baci, alcuni più dolci e altri decisamente meno casti, aveva spostato con la mano la massa di capelli corvini di Nicolas e si era perso nei suoi occhi scuri, occhi che brillavano come mille stelle, occhi che splendevano solo per lui.

In quello sguardo aveva trovato il senso, il senso di rischiare, di mettersi in gioco, il senso che avevano i sentimenti che provava, in quello sguardo aveva avuto le risposte.

Aveva capito perché si sentiva impaurito e senza corazza ed era semplice, era dannatamente semplice: aveva finalmente qualcosa da perdere.

Prima era lui, chiuso nella sua armatura, indistruttibile avvolto dal suo sarcasmo e dal suo cinismo.

Ora invece aveva aperto uno spiraglio e non camminava più da solo: si era deciso a farsi prendere per mano e quel sentimento, quell'emozione era unica e lo terrorizzava la sola idea di poterla perdere.

L'idea di non vedere più quello sguardo pieno di amore e felicità gli metteva paura e capì che ormai era fatta; mai il suo cuore avrebbe smesso di battere per quel piccoletto.

Quella mattina, sul letto, mentre il sole gli accarezzava il viso, fu immensamente grato del fatto che nessuno fece domande quando lui e Nicolas tornarono dagli scogli mano nella mano.

Notò Nelson trattenere un urlo mentre Beatrice gli tirava una gomitata ben assestata nelle costole e trattenne una risata.

Ma tutti, in cuor loro, erano felici.

Sentì il telefono vibrare così guardò e sorrise.

Piccoletto: "Ieri abbiamo fatto l'alba quindi, se non ti svegli alle cinque, ci vediamo in spiaggia, altrimenti sono in officina, devo finire due cose. Comunque non prendere impegni per stasera, abbiamo un appuntamento. Ti passo a prendere alle otto.
PS: così si invitano le persone, in modo chiaro".

"Piccolo insolente" Disse, tra sé e se divertito.
Rispose al messaggio, poi si alzò, pronto ad andare in cucina: erano le due del pomeriggio, magari avrebbe fatto in tempo a stare un po' con Nicolas in spiaggia.

Seduti al tavolo in terrazzo che mangiavano trovò tutti gli altri, Nicolas compreso che gli dava le spalle e non lo aveva ancora visto.

Così uscì e gli mise le mani sulle spalle, dicendo:
"Meno male che bisogna essere chiari nel fissare gli appuntamenti: non dovevamo trovarci in spiaggia?"

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