Capitolo 22.

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"Io ti odio" Urlò Nicolas guardandolo dritto negli occhi.

"Ti odio perché mi hai fatto credere in un futuro, perché mi hai fatto pensare di essere diverso, speciale. Perché mi hai fatto credere che ne sarebbe valsa la pensa, che io valevo la pena."

Si mise una mano sugli occhi e poi si spostò in modo nervoso il ciuffo ribelle che gli era caduto sul viso.

"Tutte bugie, una dopo l'altra"

Si diresse verso il parapetto del terrazzo e guardò New York immersa nel buio, le luci dei palazzi che risplendevano come stelle.

Cesare rimase appoggiato contro la porta che dava sugli uffici, intento a fissarlo e a fumare la sua sigaretta.

"Non ero importante, ne speciale, ne diverso: probabilmente ero semplicemente qualcuno con cui passare l'estate, qualcuno con cui divertirsi e staccare la testa dai problemi che avevi in ufficio e a casa. Un passatempo: ecco cosa sono stato."

Ormai le parole uscivano dalle sue labbra velocemente, senza un freno, un po' per il vino, un po' per la rabbia, un po' perché non sarebbe più tornato indietro ormai.

"E io che pensavo fossi speciale, una scoperta unica: difficile e tormentato ma con un grande cuore. Quanto sono stato ingenuo.
Ogni volta speravo che ti aprissi con me, che mi svelassi qualche parte nuova di te e ti fidassi di me ma ora so che non c'era altro da vedere: sei sempre stato quello che mi avevi detto al nostro primo incontro".

Si girò finalmente a guardarlo dritto negli occhi.
Cesare era impassibile mentre fumava la sigaretta come se Nicolas gli stesse dicendo le previsioni del tempo della settimana successiva.

"Stronzo e cinico, quello che hai detto di essere e quello che sei. Io invece sono un coglione perché non ti ho creduto, anzi, ho pensato ci fosse molto di più"

Poi si mise a ridere, una risata fredda e senza gioia, una risata tetra.

"Io ti amavo, capisci? Mentre tu recitavi questa tua parte, una tra le molte, io mi innamoravo di quello che credevo che fossi. Ti amavo e tu, in cinque minuti mi hai fatto crollare il mondo sotto ai piedi; ogni certezza che avevo, ogni piano per il futuro, ogni speranza."
La voce, più il discorso andava avanti, più si abbassava, come se lasciasse spazio non alla rabbia ma alla delusione.

"Mi hai portato a dubitare di me e della mia capacità di giudizio, dei miei sogni e della mia idea dell'amore perché per me quello che avevamo era perfetto, l'apoteosi dell'amore, molto più di quello che avessi mai pensato di trovare nella vita ed è finito tutto in cinque minuti di orologio"

Cesare spense la sigaretta, gettandola a terra e  schiacciandola con il piede destro.
Poi mise le mani in tasca e continuò a stare in silenzio, muovendo freneticamente la gamba.

Non sembrava scosso da quelle parole e allo stesso tempo sembra lontano anni luce da quel terrazzo e da Nicolas.

"Ti odio perché ti ho amato con ogni particella del mio corpo come non credo potrò amare qualcun altro, perché mi sei entrato sotto pelle e non te ne vai.
Ti sento ancora quando lui mi tocca; la mia mente torna a quando mi toccavi tu in quel modo e non è giusto.
Non è giusto che Paul pensi di essere all'inizio di qualcosa di magico e grandioso e io non possa darglielo perché ogni volta che mi bacia, ogni volta che mi toglie la camicia, che mi fa suo, io penso a te, a come tu mi facevi sentire, alle tue dita sulla mia carne.
Ti odio Cesare."

Nicolas si avvicinò, la rabbia che tornava a montare dentro di lui visto che l'altro restava impassibile alla sue parole e ai suoi sentimenti.

"Ti odio perché hai deciso di abbandonarmi e l'hai fatto con una tale freddezza che non credevo potesse essere possibile e soprattutto, ti odio per avermi dimostrato quanto faccia male amarti" disse stringendogli il colletto della camicia, costringendo il più grande a guardarlo negli occhi.

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