Capitolo 14.

283 17 2
                                    

Si svegliò solo come negli ultimi dieci giorni, lì, nel suo enorme letto matrimoniale, tra bianche e soffici coperte, l'enorme vetrata sulla destra del letto che dava su Central Park.

Solo.

Quel letto, quella stanza, quella città, che per anni erano stati un luogo di pace e conforto, lo fecero sentire solo.
New York non era più il suo posto sicuro, non più da quando dieci giorni prima era stato costretto a tornarci.
Non quando era stato costretto a separarsi dalla sua vera casa per quella.

Dopo la chiamata con Dario era tornato dentro al ristorante e, senza guardare Nicolas negli occhi, aveva annunciato agli altri la notizia.

Non l'aveva guardato per tutto il viaggio in auto, terrorizzato dal trovarci la delusione in quegli occhi neri che tanto amava.

Perché Cesare nella vita aveva davvero sopportato ogni cosa, ma non era certo di essere in grado di resistere alla delusione di Nicolas.

Gli si avvicinò in disparte solo quando arrivarono in aeroporto e, quando il suo sguardo incrociò quello del più piccolo, un grosso macigno si levò dal suo cuore.

Nessuna delusione, solo una vaga tristezza.

"Non è colpa tua, lo sai vero?" Gli disse infatti il più piccolo, tenendogli la mano.

Cesare annuì, incapace di dire qualcosa in quel momento; era arrabbiato.

Possibile che fosse sempre così difficile per lui essere felice?

"A me bastano le tue intenzioni: eri partito per stare con me e questo è l'importante. Mi basta vederti anche per cinque minuti per star bene quindi nessuna colpa. Solo, chiamami appena arrivi e dimmi cosa succede" Gli disse il più piccolo alzandosi sulle punte e baciandolo.

E poi era partito, lasciando Nicolas, Martina e Tonno, lasciando lo Stato e mille dubbi.

Arrivò a New York alle tre del mattino locali; da Nic erano le nove.

Capì quanto sarebbe stato difficile già in quel momento: un fuso orario di sei ore, la laurea del più piccolo, i problemi che lo attendevano.

Gli mandò un rapido messaggio e poi fu il caos.

Fu sballottato da tutte le parti, fece un giro interminabile di riunioni, di discussioni, sentì una sfilza interminabile di parole, di informazioni, di nozioni.

Arrivò a casa sua, un appartamento al ventesimo piano che dava su Central Park, che erano le sei di sera: non si era fermato un attimo.

Si buttò sul letto esausto, ancora scosso, ancora fuori dal mondo.

Sospirò perché lo sapeva, sarebbe stata dura.
Guardò il telefono appoggiato sul comodino e decise di occuparsi subito delle cose peggiori.

Fece partire una videochiamata con Nicolas e, nel momento in cui lo vide sullo schermo, la tuta addosso e gli occhiali da vista sul naso, si sentì le forze svanire.

Davvero doveva rovinare quel sorriso?

"Eccoti" Disse lui radioso.

Ma Cesare non riuscì a seguirlo.

"Cesi? Cosa devi dirmi?" Chiese infatti Nicolas, notando la sua faccia.

Ai confini del mondo Where stories live. Discover now