41. Che problemi hai stasera?

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La salita verso la cima era lenta, implacabile, inesorabile e più andavo verso l'alto più mi rendevo conto di non avere alcuna via di scampo. Arrivata a quel punto era impossibile fuggire e un'anomala sensazione di panico e d'impotenza mi fecero pentire di quella maledetta scelta. Nonostante odiassi le altitudini, curiosa, mi affacciai e guardai verso il basso. La vista da quella quota era straordinaria, ma sentii le vertigini pizzicarmi e risalirmi lungo la schiena, come tante minuscole formiche febbricitanti. Mi ritrassi di colpo, serrai le palpebre e mi appiattii sul sedile, aggrappandomi alle maniglie in acciaio poste all'altezza del mio viso.

Ero pronta, dovevo esserlo, ma quell'infernale trabiccolo rallentò l'avanzata fino a fermarsi. L'attesa si fece carica di terrore, l'aria sferzava fresca sul mio viso e la respirai a grandi boccate. Con estrema lentezza, e producendo un fastidioso cigolio, le rotaie ripresero la loro marcia; un secondo dopo mi ritrovai lanciata a tutta velocità verso il vuoto. La testa sembrava staccarsi dal mio collo, le cinghie mi avvolgevano, anche se non abbastanza, e il mio stomaco ondeggiava impazzito nelle mie viscere.

Cominciai a gridare a squarciagola. «Emily, vaffanculo!»

In tutta risposta lei cercò la mia mano, una volta trovata e intrecciata alla mia, la sollevò in aria. «Se alzi le braccia è ancora più bello.»

Sballottata da una parte all'altra cominciai a ridere istericamente e gli occhi iniziarono a lacrimare, non capivo se a causa della velocità, dalla gioia o semplicemente dalla tristezza. Quei minuti di rapide salite e infernali discese furono interminabili, tuttavia ebbero il merito di mandarmi il cervello in blocco per tutta la durata della corsa.

Scesi dalle montagne russe barcollando, mi sentivo ancora sottosopra e dovetti sorreggermi a una ringhiera per non cadere a terra come un sacco di patate.

Emily invece non la smetteva di ridere e infierire. «Dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Non è che stai per vomitare?»

Inspirai aria dalle narici e la guardai in modo truce. «No! Ma se mi verrà voglia cercherò di mirare ai tuoi piedi, visto che sei stata tu a voler salire su quel...» Alzai lo sguardo verso l'alto. «Trenino malefico.»

«Stai scherzando! Queste scarpe sono nuove di zecca e poi quando mi hai detto che non ci eri mai salita non ho resistito. Almeno adesso sai com'è.»

«Grazie tante, ma stavo bene nella mia ignoranza.»

Mi prese sottobraccio costringendomi a camminare. «Dai andiamo, voglio entrare nella "Casa degli spiriti."»

Mancavano solo ventiquattro alla mia partenza ed Emily aveva scelto Coney Island proprio per l'aria festosa che si respirava, ma ai miei occhi sembrava tutto tremendamente malinconico. Le luci colorate che illuminavo il parco divertimenti, il profumo dolce di pop-corn e zucchero filato, non riuscivano a rallegrarmi, almeno non del tutto.

Avrei voluto passare l'ultima notte con Doug, però ultimamente aveva continuato a vivere la sua vita. Ritornava a casa solo il tempo di farsi una doccia o una breve dormita e poi scappava di nuovo in ospedale, rimanendoci interi giorni a occuparsi dal suo progetto e a lavorare. Rispettavo la sua scelta, come lui aveva rispettato la mia, in qualche modo la sua assenza e la lontananza mi stavano responsabilizzando. Anch'io ero stata indaffarata a organizzare il viaggio, però mi sentivo un po' abbandonata da lui.

Una manciata di minuti dopo la mia fedele amica si fermò davanti alla riproduzione di un vecchio caseggiato diroccato. Esternamente non possedeva nulla di minaccioso, era ricoperto da assi in legno usurato e le finestre, in stile inglese, erano piccole con alcuni vetri rotti. Dal suo interno provenivano rumori inquietanti come ululati e grida disperate, che mi fecero più che altro sorridere.

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