19. Morte

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Esiste una strana soglia che divide la vita e la morte. È composta da ricordi che ti lacerano le interiora, quelli che ti tolgono il fiato, che ti fanno star male e a volte ti fanno salire in gola l'acido dello stomaco. È più forte di una pugnalata su un fianco, è un dolore diverso, ti brucia come l'alcool che cala lentamente dentro il corpo. Ti sfrecciano davanti il viso diverse scene, la famiglia, l'amicizia, l'amore, il dolore, la felicità, la vita. La tua intera vita, le catastrofi che ne sono collegate, e immediatamente la morte ti pone davanti agli occhi una scelta: continuare a vivere sapendo che costerà molto, o morire lasciandosi alle spalle ogni cosa fatta, sia bella che brutta. La scelta è completamente nostra, siamo noi a dover decidere cosa sia meglio, cosa fare. E quando siamo stanchi, devastati, stufi di dover lottare, ci lasciamo andare facendo vincere il mietitore. Vediamo la morte come una cosa cattiva, che ci strappa dalle mani i nostri cari, ma la realtà più assoluta è che fa solo il suo lavoro e a dirla tutta, lo fa anche bene. La morte è affascinante, ti stupisce con quello che può fare, ti mostra tutto il tuo passato, ma una cosa non calcola, l'uomo è curioso e ha voglia di vivere, così quando stenta di scegliere di andare con lei, questa lo colpisce con tiri mancini spiegando che la vita non sarà più la stessa, così lui la sceglie.
Io non potevo, non era ancora il mio momento, non volevo morire, ero stanca, delusa, triste e sola, ma non volevo ancora lasciare questo mondo. Dovevo combattere mentre sotto l'acqua gelata sentivo i rumori soffocati di quello che sembrava un disastro. Erano tornati, c'è l'avevano fatta, sanguinolenti, pieni di ferite e lividi, completamente distrutti, ma c'è l'avevano fatta. Erano tornati per me, per salvarmi e mentre il tunnel pieno di luce, si allontanava sempre di più, io cercavo in tutti i modi di uscire dal mio stato di incoscienza, ma la morte non voleva lasciarmi andare attirandomi a se come una calamita. Due grosse mani si infilarono nell'acqua e mi tirarono fuori poggiandomi sul lettino di ferro. Il viso di Derek sembrava furioso, deluso dalle aspettative forse troppo alte, aveva le mani sul lettino e stringeva forte il materiale grigiastro piegandolo di poco. Doc cercava di calmarlo spiegandogli la situazione mentre Stiles si divincolava dalla presa ferrea di Scott. Non capivo, erano lì, Kira aveva il pungiglione in mano e allora perché non mi stavano salvando? Volevo urlare, chiedere aiuto, dire che ero ancora viva, mostrargli che non volevo morire, mi veniva da piangere, ma soffocai i singhiozzi, avevo capito, chiusi gli occhi, se questo era ciò che avevano deciso per me, allora io non avrei potuto fare altro che stare alla decisione. Lentamente sprofondai in un liquido denso, lasciai andare le ultime forze che mi tenevano stretta alla vita e mi soffermai sulla mia storia. Non avevo motivo di continuare a vivere, il dolore mi tormentava senza lasciarmi fiato, ero sola, non avevo genitori, né una famiglia, ne veri amici, o almeno quelli che avevo non erano stati capaci nemmeno di salvarmi la vita. Volevo morire, smettere di soffrire, ero troppo stanca per continuare una lotta che mi sembrava ben lontana dalla fine. Continuavo a sprofondare e sprofondare nell'oscurità che sembrava inghiottirmi, accogliermi nel suo grembo e abbracciarmi con le proprie mani. Poi un dolore lancinante nacque al centro della mia schiena, con un colpo secco sentì una cosa appuntita trapassarmi la carne. Era stato il pungiglione, Derek continuava a urlare qualcosa ma alle mie orecchie sembrava solo un sussurro malinconico, una voce rauca troppo lontana per capire cosa dicesse. Ripeteva una frase, non troppo lunga, che probabilmente quando ero stata in vita avevo sognato di sentirmi dire più volte, ma non riuscivo a comprenderne il significato. La mia caduta continuava, circondata solo dal buio. Dire che non avevo paura, sarebbe una menzogna, ne avevo, eccome se ne avevo, non volevo morire così giovane ma dovevo, ero troppo stanca, troppo delusa da tutto, poi la voce di Derek si sentì ancora, sta volta il suono arrivò più nitido, più preciso, ma ancora il significato non si capiva. Sentì spostarmi i capelli dall'orecchio sinistro, poi il fiato caldo uscì dalla sua bocca, trapassandomi il timpano fino ad arrivare al cervello e questa volta la frase arrivò chiara. Diceva: "Resta. Sei tutto ciò che ho e tutto ciò di cui ho bisogno"

E in quel momento i miei occhi si spalancarono.

•The Sun, the Moon, the truth•Where stories live. Discover now