Capitolo 27

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Ormai gli Avengers stavano discutendo da quella che a Bucky sembrava una vita, eppure non erano arrivati a nessun punto. Era troppo personale, nessuno sapeva come affrontare la cosa, tutti cercavano di essere il più distaccati possibile, ma era chiaro che non ci riuscissero.
Si sentivano la rabbia, la frustrazione, il risentimento, l'affetto represso.
Erano troppo coinvolti.
«Io dico che dobbiamo lasciar perdere. Ormai è priva di poteri, non può più nè ostacolarci nè esserci utile. È stata una parentesi, chiudiamola qui.» propose Tony.
«Non possiamo fare finta di nulla. Dobbiamo tener conto della vita che conduceva prima. Inoltre si è allenata con me, Bucky e Nat. Non è comunque da sottovalutare.» fece valere le sue ragioni Steve.
«Dai risultati delle analisi e visto il suo stato attuale dobbiamo ipotizzare che i tempi di ripresa saranno lunghi.» espose Bruce.
«Almeno nell'immediato futuro, quindi, lei non ci riguarda.» insistette il miliardario.
«Non possiamo trattarla come un'estranea. Dovremmo quantomeno cercarla e parlare con lei.» propose Nat, l'unica insieme a Bruce che non si era espressa contro di lei, piuttosto era rimasta neutrale. Bucky, invece, non era riuscito a dire neanche una parola.
«Smettetela. Tutti quanti.» fece il suo ingresso Thor. Non si faceva vivo dal momento in cui i suoi amici avevano fatto ritorno sulla Terra, per cui nessuno si era preoccupato di chiamarlo. Neanche Clint era lì, ritirato da qualche parte come un eremita.
«Non stiamo parlando di un essere qualunque. Quella è mia sorella, figlia di Odino.» continuò.
«Mi dispiace, PointBreak, ma questo non cambia lo stato attuale delle cose. Non ci riguarda. Fine del discorso. Ultima parentesi: sei sicuro di non essere tu quello adottato?» Tony fece forza con le braccia sulla sedia, come a volersi alzare. Tra poco tutti sarebbero andati per la propria strada. Ora o mai più, si disse Bucky. Doveva convincerli a fare qualcosa.
«Aspetta.» lo fermò, per cui lui tornò a sedersi. «Io la cercherò. Indipendentemente da quello che deciderete voi, io agirò per conto mio. Iris ha sbagliato a non dirci del suo passato, ma lei ha cercato di evitare quello che sta succedendo in questo momento. Vi state accanendo contro di lei. A questo punto, lasciatemelo dire, forse non ha sbagliato del tutto: le sue paure erano fondate. Se anche ce lo avesse detto lei, per voi sarebbe stato comunque troppo tardi.» poi uscì dalla stanza, sperando che il suo breve discorso avrebbe funzionato.

[...]

Era passata una settimana da quando Iris si era nascosta a casa di Trevor, una settimana in cui non aveva messo piede fuori da lì. Non poteva nascondersi a lungo, sapeva che se qualcuno la stava cercando, prima o poi l'avrebbero trovata.
Gli Avengers non erano degli sciocchi, non erano da sottovalutare e già stare lì per troppo tempo era un pericolo, tra l'altro Bucky conosceva Trevor, quindi sarebbero potuti partire da lui per risalire a lei, sia seguendolo che, se necessario, facendolo parlare. Non sapeva fin dove si sarebbero spinti, una parte di lei voleva che la cercassero, che si interessassero a lei, che non si fossero già dimenticati della sua esistenza. Che Bucky non l'avesse già dimenticata dopo quello che si erano detti.
Ciononostante, una parte di lei era terrorizzata, non si sentiva in grado di guardarli di nuovo negli occhi, di affrontare le loro critiche. Aveva sbagliato a non dirgli niente, ma questo era esattamente quello che stava cercando di evitare. Paradossalmente non si era mai sentita così sola. Da non trascurare, adesso poteva morire. O meglio, poteva morire anche prima, ma adesso era molto più semplice che ciò accadesse, e comunque aveva vissuto così tanto che, in un modo o in un altro, il fatto che adesso invecchiasse così velocemente le sembrava un'inarrestabile corsa verso la morte.
Sentì la serratura scattare, segno che Trevor era tornato a casa. «No bello, non puoi abbandonarmi proprio stasera. È una cosa importante!» lo sentì dire, per cui capì che stava parlando al cellulare. «No, ti ho detto che non se ne parla!» continuò. «Oh, va al diavolo!» furono le sue ultime parole, prima di terminare la chiamata.
Iris lo raggiunse all'ingresso. «Che succede?» gli chiese.
«Niente, sta tranquilla.»
«Trevor... sai che a me puoi dirlo.»
«Certo che lo so... ma non volevo darti altri problemi.»
«Tranquillo, anzi, almeno mi svago un po'.»
«Ah, quindi i miei problemi per te sono uno svago?» le chiese, così lei gli diede uno schiaffetto sulla spalla ed entrambi scoppiarono a ridere, per poi andarsi a sedere sul divano.
«Te lo ricordi Theo, quello dell'ultima gara che hai fatto?»
«Si, il biondino. Non era male.» confermò dopo aver ripercorso mentalmente i suoi ricordi fino a quella sera.
«No, non lo era, per cui quando tu sei uscita dal giro l'ho messo al tuo posto. Certo, non ha sempre vinto, ma tutto sommato era un buon pilota.»
«E..?» chiese Iris, per invogliarlo a continuare.
«Stasera c'è una corsa, ma dice che ha un impegno - testuali parole - improrogabile. Chi usa questo termine, poi? E io sono senza pilota, meno di 6 ore prima!» sbuffò frustrato, aggiustandosi il ciuffo. Nel periodo che aveva passato con lui, Iris aveva imparato ad interpretarlo come sinonimo di nervosismo.
«Se per te va bene, posso correre io al suo posto.» si propose lei, tentando di sollevargli il morale.
«Sei sicura? Voglio dire, certo che mi andrebbe bene, figuriamoci, ma tu... credi di sentirti pronta?»
«L'ho fatto per un sacco di tempo. E poi sarà solo per questa volta. Davvero, mi fa piacere.» lo convinse.

It cannot be all there | Bucky BarnesWhere stories live. Discover now