Capitolo 4

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Iris si era alzata a fatica, dirigendosi nella grande cucina ancora sbadigliando. Si diresse verso il piano in marmo bianco, per preparare la sua colazione preferita: quando non restava al locale fino alle sei del mattino, amava preparare i pancake con la ricetta che le aveva insegnato una vecchia signora di Brooklyn davvero tanto tempo prima, mentre la macchina del caffè faceva il suo dovere, ovvero due cappuccini perfetti.

Quando la colazione fu pronta, si diresse in camera di Bucky per svegliarlo. Bussò piano, poi aprì la porta. Il moro dormiva con le sopracciglia aggrottate, come se fosse agitato e Iris non se ne stupì più di tanto: ciò che aveva fatto, per una persona normale, doveva essere davvero tremendo. Eppure, sebbene razionalmente lei ne fosse ben consapevole, questa idea sembrava non scalfirla mai nel profondo, il sangue le sembrava sempre più attraente della "redenzione" e non si spiegava come le persone si ostinassero a scegliere la parte del bene solo per mostrarsi migliori, costringendosi ad una vita passata a nascondere la propria identità.

Si avvicinò al Soldato, mettendogli una mano sulla spalla per scuoterlo, ma non appena lo toccò, si sentì afferrare il polso e ribaltare sul letto.

«Hei, calmati, sono io.» disse, poiché in quelle iridi così chiare aveva visto un lampo scuro, forse di preoccupazione, paura. O forse i suoi poteri stavano solo destabilizzando l'uomo. Non era una novità: chiunque le stesse vicino finiva per dare di matto a causa della sua aura, ma lei non ne aveva mai fatto un problema poiché sebbene gli altri perdessero lucidità, lei riusciva a restare impassibile, ingannandoli ancora più facilmente. Bucky sembrò rendersi conto di quello che stava accadendo e si alzò di scatto, come ustionato. «Io... Scusa, non credevo fossi tu.» disse sinceramente, passandosi una mano nei lunghi capelli. «nessuno potrebbe entrare qui, sei al sicuro. E poi, anche se ci riuscissero, non penso avresti grandi difficoltà. Da quanto dormi così?» chiese, incuriosita da quell'uomo così strano, forte come mille eppure così fragile psicologicamente. «Da un po'.» snocciolò e non si azzardò a dire altro.

«La colazione è sul tavolo, ti aspetto di là e mentre ti dai una sistemata io vado a preparare la ciotola a Rock.»

[...]

Iris era davanti allo specchio, in intimo e indecisa su cosa indossare. Questa sera si sarebbero recati allo stabilimento abbandonato, ovvero il luogo delle più grandi corse clandestine della città, e ovviamente quello più affollato. Sorrise a quel pensiero. Optò per un vestito nero morbido, delle calze a rete e i suoi amati anfibi, così comodi rispetto ai tacchi che si sentiva costretta ad indossare di solito. Costretta, si, perché per stare al suo posto non importava solo ciò che eri in grado di fare, ma anche come ti mostravi. Il miglior biglietto da visita sei tu, poi c'è il tuo rappresentante , per lei Trevor. Si erano conosciuti quasi per caso, avevano iniziato a lavorare insieme e poi lui si era guadagnato quel posto. Indossò un bomber a fantasia militare verde. Quando uscì dalla sua stanza, vide Bucky già in soggiorno, con un'espressione impenetrabile.

«Allora, Soldato, andiamo?» lui annuì col capo, per poi alzarsi e seguire la ragazza.

Arrivarono al parcheggio che si trovava al piano interrato e Bucky si sorprese della sua grandezza: sembrava quello di un centro commerciale moderno, lo sapeva perché ci era stato un paio di volte con Steve per prendere qualcosa da indossare. I neon al soffitto illuminavano tutto, non lasciando nemmeno una macchina in ombra. E quelle macchine avevano l'aria di essere davvero costose, almeno quanto quelle di Tony Stark. Seguì Iris mentre si destreggiava tra quelle file di auto, e ora sembrava così diversa dalla sera precedente o dalla mattina stessa. Così fredda, calcolatrice. Come lui, ma per scelta e proprio non si spiegava perché qualcuno dovesse scegliere di essere così.

It cannot be all there | Bucky BarnesWhere stories live. Discover now