Capitolo 40

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Ormai erano le quattro del mattino. Iris era ancora in camera di Bucky, la luce che entrava dalla finestra le permetteva di guardarlo mentre dormiva. Ultimamente lei soffriva d'insonnia, e quando dormiva aveva sempre il sonno leggero e agitato.
Il respiro del moro era rapido, si vedeva che il suo sonno era leggerlo, ma almeno non aveva incubi. A pensarci bene, le sole due volte che avevano dormito insieme lui non aveva avuto incubi, ma era troppo poco per fare una statistica.
La corvina sospirò. Quello a cui stavano andando incontro... era una guerra. Una guerra vera, non una battaglia, non uno scontro. E ci sarebbero stati dei morti, lo sapeva. Prese a fissare il soffitto, mentre una morsa iniziava a stringerle lo stomaco e il battito del cuore accelerava.
Eccola lì, la paura. Alcune volte ritornava senza che lei potesse far nulla per fermarla. Lei aveva combattuto contro i Vanir, tanto tempo prima, ma adesso... Adesso era debole e non appena loro se ne fossero accorti non ci avrebbero pensato un attimo prima di fiondarsi su di lei per vendicarsi.

«Non riesci a dormire?» le chiese Bucky, risvegliandola dai suoi pensieri. Si voltò verso di lui. «Qualcosa del genere.» gli spiegò. Lui le passò un braccio sulla pancia, abbracciandola. «Un pensiero per un pensiero.» provò a convincerla a parlare.
«Ci sto. Sarà un massacro. Tocca a te.» non serviva specificare a cosa si riferisse.
«Loki sembra cambiato, da quella volta ad Asgard. Non me lo aspettavo.»
«Non è cattivo. Gli sono successe cose brutte.»
«Come noi?»
«Come noi. Ha solo bisogno di qualcuno che si fidi di lui.»
«Perché dio degli inganni?»
«Sono stati la sua occupazione preferita per tanto tempo. Seminava discordia per tutto il regno, dovevi vederlo. Era una peste.»
«Perché lui ti conosceva già da prima e Thor no?»
«Ero già nelle segrete quando loro erano piccoli. Loki di tanto in tanto veniva a trovarmi, gli allenamenti non facevano per lui. La magia si, anche i libri. Così scoprì di me e mi chiese di insegnargli quello che sapevo.»
«E tu invece... Dea dell'energia oscura, giusto?»
Gli occhi di Iris si rabbuiarono e poi si fecero vacui, probabilmente perdendosi in qualche ricordo. «Lo ero, ma adesso...»
«Sono sicuro che te la caverai. Lo faremo tutti.»
«Sono stata io a convincere mio padre ad uccidere Gullveig. Heid è solo l'ennesima conseguenza delle mie scelte. Quella cicatrice gliel'ho fatta io, perché non dimenticasse chi ero.»
«Se Odino accettasse di combattere, è probabile che vi incontriate.»
«Mio padre è vecchio ormai, la guerra non fa più per lui. Se dovesse accettare lascerà a Thor il compito di guidare gli eserciti.» Iris si bloccò si colpo. «Ma non voglio pensarci adesso. Che ne dici di uscire?» propose al moro, che sospirò. «Dove andiamo?» le chiese.

[...]

Iris aveva indossato dei jeans neri e un maglioncino bianco, per quanto si fossero alzate le temperature l'aria della notte non era certo calda e quindi aggiunse anche un chiodo di pelle. Anche il moro aveva indossato dei jeans e una giacca in pelle.
«Andiamo, forza. Sennò non faremo in tempo!» affermò la corvina, trascinando Bucky per un braccio.
«Ancora non mi hai detto dove stiamo andando.» le rispose lui.
«Ma ti ho detto che è una sorpresa.»
Presero la moto di Bucky.
«Non esiste che la guidi tu.» si oppose il moro.
«Ma non sai dove voglio andare!»
«Non importa. Monta dietro.»
Iris stava per aprire la bocca e controbattere, ma il modo alzò l'indice - quello in vibranio - facendole capire che non voleva sentire altro. Risero ancora, colti da una strana euforia.
Erano pochi i momenti in cui il super soldato si sentiva così bene, così libero... Eppure da quando Iris era entrata a far parte della sua vita erano aumentanti in modo esponenziale. Non era sempre felice, non stava sempre bene, sarebbe stupido affermare il contrario, ma quando la baciava, quando la stringeva a sé e quando si addormentava con lei, si sentiva bene. Non aveva osato dirle di dormire sempre con lui, non voleva essere affrettato. A dire il vero, non le diceva spesso nemmeno che l'amava, anzi, forse l'aveva fatto davvero pochissime volte, ma sapeva che lei era consapevole di quel che provava.

[...]

Dopo diverse indicazioni sbagliate erano finalmente giunti a destinazione. Avevano accostato con la moto e adesso sedevano sul muretto del ponte di Brooklyn.
«Si può sapere cosa ci facciamo qui?» chiese Bucky.
«Guarda lì.» rispose lei, indicandogli col capo la distesa d'acqua sotto di loro. Il sole che sorgeva pian piano illuminando tutto, ricoprendo la città che si stava svegliando con i tuoi raggi.
«È bellissimo.» disse lei. E quando il moro si girò a guardarla e vide il sole riflesso nei suoi occhi azzurri, la pelle illuminata dai raggi che non riscaldavano ancora la città, rispose «Lo sei.» e così anche lei si voltò a guardando.
«Ti amo, Buck. Più di ogni altra cosa. Avrei voluto conoscerti molto tempo fa.»
«Ti amo anch'io. Non possiamo rimediare al passato, ma niente ci impedirà di passare tutto il resto del futuro insieme.»
«Fino alla fine.» disse lei.
«Fino alla fine.» ripetè lui.
Le si avvicinò, sfiorandole la guancia e baciandola, prima piano, poi sempre più intensamente. C'era qualcosa in quella ragazza che lo obbligava a desiderarla sempre di più. Sempre più intensamente.
«Pensavo che stanotte ti fosse bastato.» scherzò lei.
«Avrò quasi 100 anni, ma così mi offendi.» e stavolta risero entrambi.

It cannot be all there | Bucky BarnesWhere stories live. Discover now