13 - Corde e Pugnali

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Galassia, Asgard.

Probabilmente si era persa.
Ma quei corridoi sembravano essere tutti così uguali. Chiari, pieni di porte e decorazioni.

Non era abituata a vivere in un posto del genere. Era nata e cresciuta in un'umilissima dimora nella parte più periferica della città. Un luogo in cui la gente del palazzo non avrebbe mai nemmeno pensato di mettere piede.

Aveva sempre disprezzato le persone che possedevano quelle ricchezze, non sopportava la loro ipocrisia e il loro falso buonismo. Eppure, eccola lì, a gironzolare per quell'enorme palazzo, abbigliata di stoffe pregiate e con i capelli acconciati.

Ad Elin, tutta quella situazione, sembrava paradossalmente ridicola.
Ma Lilith le aveva detto che nella vita, per arrivare dove si vuole, bisogna fare dei sacrifici, indossare mille maschere e sapersi adattare alle occasioni.

E poi, credeva ancora che tutto ciò fosse necessario ai fini del lavoro di Thor. Quindi si era lasciata convincere facilmente a trasferirsi in quel palazzo reale.

«Ce ne hai messo di tempo» Lilith l'accolse così, nell'esatto momento in cui varcò la soglia di quella stanza.

«Odio questo posto, è così inutilmente grande» rispose per tanto, scalciando via le scarpe.

«Smettila di lamentarti» l'ammonì la Dea. «Piuttosto, hai preso quello che ti avevo chiesto?» le chiese, avvicinandosi a lei e scrutandola dall'alto.

La bambina annuì velocemente, infilandosi una mano dentro alla manica lunga del suo vestito. Ne estrasse dei sottili fogli ingialliti, arrotolati su se stessi. Gli occhi di Lilith si illuminarono e non attesero un secondo di più, prima di mettere le mani su quell'ambito tesoro.

«Ancora devo capire come delle planimetrie possano servire a Thor per scoprire se ci sono davvero dei traditori a palazzo» si chiese Elin. Ogni tanto la Dea si stupiva di come quella bambina potesse essere così intelligente e al contempo così ingenua.

Ma decise di ignorare sia il suo dubbio che quello di Elin e portare tutta l'attenzione su quelle tanto bramate carte.

Era ormai qualche giorno che lei e la sua piccola aiutante si erano trasferite a palazzo. Dopo aver stretto quella specie di precario patto con Loki, la Dea dell'Oscurità aveva fatto pressione e quasi ordinato di poter andare a vivere in quel posto. Come scusa aveva usato quella che così lei e il Dio degli Inganni sarebbero stati più in contatto e la loro collaborazione sarebbe risultata più facile.

Ma la verità era che Lilith voleva solamente riuscire a spostarsi facilmente in quel palazzo e aver così maggior campo libero per trovare quella tanto agognata stanza della guarigione.

La notte prima, infatti, chiusa nell'ampio bagno della sua camera, aveva compiuto quel semplice incantesimo, lo stesso che le aveva permesso di localizzare Odino a New York. Con l'occhio della mente aveva viaggiato per ogni anfratto di quel palazzo, scoprendo però che non tutte le stanze erano a lei accessibili.

Quindi, alla fine, la cosa migliore che era riuscita a trovare era nei sotterranei. In un archivio muffo e abbandonato, giacevano quelle planimetrie del palazzo. Usate in principio per erigerlo e sulle quali ogni singola stanza era indicata, compresa quella della guarigione.

«Grazie Elin, ora puoi andare» la congedò.

Nuovamente sola, Lilith andò a sedersi sul suo letto a baldacchino, distendendo quelle grosse carte sul lenzuolo bordeaux scuro. Un sorriso a trentadue denti si dipinse sulle sue labbra, mentre con le dita scorreva su quei disegni in bianco e nero del palazzo.

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