23 - Una Nuova Era

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Terra, New York.

Il cinguettio degli uccellini faceva da sottofondo ai loro pensieri. Il debole sole invernale filtrava da quelle finestre spoglie, illuminando i loro corpi.
Stesi su quel letto, l'uno accanto all'altra, Loki e Lilith fissavano il soffitto spoglio dell'appartamento della Dea.

Da lì a poco avrebbero dovuto alzarsi e rimboccarsi le maniche, perché, Mephisto era stato sconfitto e una mole spaventosa di cose da sistemare gravava su di loro. Ma nessuno dei due sembrava intenzionato ad abbondare la comodità di quel materasso.

«Sono stanca» ammise Lilith, volgendo lo sguardo verso di lui. L'espressione di Loki divenne alquanto allarmata e la sua mano andò a portarle una di quelle treccine dietro l'orecchio.

«Come mai?» chiese, cercando di nascondere l'evidente preoccupazione nella voce. Lilith sorrise debolmente, avvicinandosi di più a lui. Portò lo sguardo sulle sue braccia scoperte e anche Loki si ritrovò a fare lo stesso.

«Le anime che porto con me hanno un peso e ogni tanto la mia fatica a sostenerlo» rivelò, prendendo un profondo respiro.

Il Dio degli Inganni, istintivamente, senza pensarci su nemmeno per un secondo, portò le mani su quelle braccia. I suoi polpastrelli scorrevano piano sulla pelle liscia, accarezzandola e sfiorando i piccoli tatuaggi.

Lilith tratteneva il fiato, ogni qual volta che lui passava le dita su uno di quei segni. Toccarli le provocava un vero e proprio dolore fisico ed emotivo.

Anche Loki si era accorto di ciò che accadeva quando sfiorava uno di quei tatuaggi. Percepiva una vera e propria presenza racchiusa dentro di loro, come se l'anima di quelle persone si trovasse davvero intrappolata in quell'inchiostro.

Quando li toccava, sentiva nella sua testa delle voci confuse, urla distanti. Vedeva, nella sua mente, volti di persone diverse, scene di vita di sconosciuti. E non riusciva a capire se fosse solo frutto della sua immaginazione o se fosse qualcosa di reale.

«So che puoi percepirle» parlò lei, nel momento in cui le dita del Dio indugiarono su quel piccolo simbolo, che si era formato, il giorno prima, all'altezza del suo polso. «E so anche che ti dispiace sul serio per quello che è dovuto succedere al tuo consigliere» aggiunse, fissandolo dritto negli occhi. «Perciò, non toccare quel tatuaggio, se non sei davvero pronto a sentire il dolore che lui ha provato» concluse, distogliendo lo sguardo.

Sull'anima di Lilith gravava un grosso peso.
Sin dal momento in cui era stata creata, lei aveva sofferto. Non ricordava di aver passato nemmeno un solo giorno senza sentire quel dolore.

Non un male fisico, perché nulla le doleva nel corpo. Ma un qualcosa a livello mentale. Un continuo macigno che cercava di farla sprofondare e cedere.

Il primo marchio aveva sporcato la sua pelle nell'esatto momento in cui aveva abbandonato l'Eden e rappresentava proprio la perdita della sua stessa anima. Quella era stata la sua punizione, ogni vita che si prendeva andava a macchiare il suo corpo, sotto forma di un piccolo simbolo. E il dolore che quelle persone avevano provato nella loro vita e durante la loro morte, la perseguitava per sempre.

Ma niente e nessuno era in grado di farle percepire quella strana stanchezza e quella voglia di lasciarsi andare come il suo stesso dolore. Come quel tatuaggio che rappresentava la sua anima perduta.

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