IX

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"Stai bene?" Louis si avvicina velocemente, portando con sé una coperta e una bottiglia di acqua- la dottoressa ha detto che è importante l'idratazione e lui si preoccupa molto per quel ragazzo-.

"Sì, Lou." Sbuffa, sistemandosi meglio sull'enorme divano di casa Tomlinson. Allunga le gambe, posando i piedi scoperti su un cuscino che il più grande gli ha dato- ha davvero un cuscino apposta per alzare i piedi, non sta scherzando-.

"Quando ti faranno sapere i risultati delle analisi?" stende la trapunta color panna sul suo corpo, allungandosi per rimboccare il tessuto in eccesso sui suoi fianchi. Si riferisce alle analisi del sangue che ha fatto pochi giorni prima, a quanto pare devono tenere sotto controllo il ferro e i livelli di zucchero. Non ha assolutamente capito perché, lui si limita ad accompagnarlo e a confortarlo perché Harry ha una maledetta paura degli aghi e odia doversi sottoporre a quella specie di tortura.

"Louis, è maggio." Sbuffa il riccio, sgusciando fuori da quel groviglio.

"Siamo a Londra, non ai Caraibi. Devi coprirti." Cerca di coprirlo nuovamente, ma Harry gli blocca un polso con fermezza.

"Smettila, se ti dico che ho caldo è perché ho caldo." Lo fulmina, scalciando la coperta fino a farla cadere a terra.

Louis inizia ad innervosirsi.

"Mi sto solo preoccupando per te." Alza il tono della voce. Raccoglie la trapunta e la piega lentamente, senza guardare il più piccolo negli occhi. Si sta dando da fare per non fargli mancare niente, lo tratta come un angelo- e non perché vuole rinfacciarglielo o per essere acclamato, ma perché è un enorme piacere farlo. - Ama vedere le sue fossette comparire quando si presenta senza preavviso al suo appartamento, quando lo va a prendere a lavoro o quando lo porta a pranzare nel suo ristorante preferito.

"Non sono malato, non c..." si blocca, piegando le ginocchia di scatto verso di sé e stringendosi immediatamente il pancione.

"Oh Dio, che c'è?" non gli interessa se fino a pochi secondi fa stavano litigando per la sua troppa apprensione, è più forte di lui.

Harry si accartoccia su sé stesso, chiudendo i pugni per concentrarsi su altro e non su quel dolore lancinante. Gli sembra che qualcuno lo stia pugnalando dall'interno e non può negare che il panico sta prendendo il sopravvento su di lui. Cerca di respirare con calma, serra gli occhi e trattiene il respiro, poi espira con lentezza.

"Cosa sta succedendo? Devo chiamare la dottoressa? L'ambulanza? Andiamo in ospedale." Il liscio straparla, mentre corre verso in cucina per prendere le chiavi della macchina che ha lasciato sulla penisola. Borbotta frasi sconnesse, provando a restare lucido e non far vagare la mente verso i peggiori scenari apocalittici.

"F-fermo." Sente il più piccolo sussurrare e si sbriga per avvicinarsi a quel corpo dolorante "Non è niente, non... non dobbiamo andare in ospedale." Cerca di dire con l'affanno, causato sia dal dolore che da quel piccolo attacco di panico che stava per chiudergli la gola.

"Che vuol dire che non è niente?" punta i piedi a terra, spostando leggermente il tappetto, creando una piega.

"Era una mini contrazione." Si porta una mano sulla fronte, rimettendosi a pancia in su e lasciando cadere la testa sull'enorme cuscino che l'avvocato gli ha sistemato dietro la schiena.

"Ed è grave? È normale?" si accovaccia sulle ginocchia, per avere il viso alla sua altezza "Non vengono quando bisogna partorire?" spalanca le palpebre "Devi partorire?"

"Sei pazzo? Sono solo alla ventiquattresima settimana." Sbuffa, stanco di stare steso e alzandosi di botto per sedersi. Incrocia le gambe e stringe le caviglie fredde con le dita.

We made it | l.sWhere stories live. Discover now