Capitolo 1

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"Porca puttana, Logan! Cos'ha? Cosa le sta capitando?"

Logan guardava con occhi sgranati Katie Thompson, riversa a terra, con la schiuma alla bocca, tremante, a causa delle convulsioni.

Morirà, cazzo.

"Dobbiamo chiamare qualcuno, Logan!"

Logan spostò lo sguardo stravolto su July Williams, la figlia minore del prof Williams, che con le mani tra i capelli biondi, piangeva disperata mentre guardava la sua migliore amica che continuava a tremare e a cacciare schiuma dalla bocca.

"Io me ne vado, cazzo. Se finisco di nuovo nei guai, questa volta mio padre mi ammazza!"

Logan vide il suo presunto amico Mike andarsene via come un codardo dal vecchio capannone dove si incontravano sempre per fumare, bere, scopare e spacciare.

Spacciare quelle dannate pasticche che stavano causando l'overdose in Katie Thompson.

"Chiama un'ambulanza," disse con voce fredda a July, che annuì e iniziò a digitare con mani tremanti il numero di emergenza sul suo telefono.

Katie diventava sempre più bianca, le convulsioni sempre più violente e Logan si sentì colpevole e impotente.

La ragazza emise un conato e vomitò sul pavimento già sudicio del capannone.

"Trema e vomita!" informò July chiunque stesse dall''altro capo del telefono.

Logan si strattonò violentemente i capelli, respirare gli divenne faticoso. Stava per avere un attacco di panico, cazzo.

"Logan! Logan, sta arrivando l'ambulanza!" gli disse la figlia del prof Williams, ma lui non riuscì a risponderle, non riuscì a sentirsi sollevato dell'arrivo dei soccorsi.

Si accovacciò a terra, si circondò le gambe con le braccia e incastrò la testa tra le ginocchia, dondolandosi avanti e indietro.

"È tutta colpa tua!" urlò July, continuando a piangere. "Se Katie muore, è colpa tua!"

Era colpa sua... Era colpa sua...

"È colpa mia," mormorò. "È colpa mia."

"No!" Logan si alzò di scatto dal letto, il fiato corto e il cuore che gli batteva violentemente nella gabbia toracica.

Si portò una mano al centro del petto e provò a regolare il respiro.

Aveva avuto l'ennesimo incubo. Ormai, da anni Logan non sapeva più cosa si provava a dormire otto ore la notte senza che quei dannati incubi sul suo passato andassero a tormentarlo.

Sentì delle goccioline di sudore che gli scivolavano sulle tempie e sul collo, la maglietta completamente zuppa.

Scostò le coperte e si alzò; lanciò uno sguardo alla sveglia sul comodino che segnava le tre e mezzo della mattina. Aveva dormito solo quattro ore e come ogni volta che faceva un incubo, si rassegnò al fatto che non avrebbe più ripreso sonno.

A piedi scalzi si diresse in cucina per bere un bicchiere d'acqua, nel mentre si sfilò la maglietta sudata e la buttò a terra, l'avrebbe raccolta più tardi.

Aveva la gola arida e quando bevve l'acqua fresca gli sembrò di riacquisire un po' di lucidità.

Era tentato di scrivere alla dottoressa Morrison, la sua psicologa, ma si trattenne solo perché si rese conto che il resto delle persone sane di mente a quell'ora dormivano.

Ma Logan non era più sano di mente da anni, ormai.

Prese il telefono che aveva lasciato sul bancone della cucina e, per perdere un po' di tempo e per distrarsi, iniziò a scorrere la home di Instagram.

Vide che Ryan aveva pubblicato una storia e istintivamente un piccolo sorriso gli inarcò le labbra.

Era un suo video dove provava a dare un bacio sulla guancia di Angel, sua sorella, ma la ragazza lo scansava sempre, maledicendolo. Ryan stava ridendo, fino a farsi uscire delle piccole rughette di espressione attorno agli occhi.

Ryan Carter era uno dei ragazzi più solari e confusionari che avesse mai conosciuto. Si era preso una cotta per lui, Logan lo aveva capito da tempo, ma faceva finta di niente.

Quel ragazzo era un'anima pura e Logan non se la sentiva proprio di sporcarlo con tutta l'oscurità che si portava dietro.

Ryan avrebbe perso quel bel sorriso a causa sua e Logan aveva già abbastanza questioni irrisolte per cui ancora doveva farsi perdonare.

Era pieno fino all'orlo di sensi di colpa.

***

"Ehi, Logan, tutto bene?"

Logan stava disinfettando la barella dell'ambulanza, alzò lo sguardo e lo concentrò su Grace, una sua collega.

"Sì, perché?" rispose.

Grace lo guardò attentamente. "Non hai una bella faccia. Mi sembri un po' pallido."

Logan sapeva di essere pallido come un cadavere e di avere due occhiaie decisamente poco sane. Quella mattina, quando si era guardato allo specchio, per poco non gli era venuto un colpo ed era stato tentato di correre ad acquistare del correttore per coprire quelle macchie nere che gli circondavano gli occhi allungati, ereditati da sua madre coreana.

Ma quelli erano tutti i contro che nascevano quando passavi la maggior parte della notte insonne.

"Tranquilla, sto bene," rispose alla sua collega, mentendo, ovviamente.

Grace continuò a scrutarlo, era una ragazza sveglia, quindi Logan distolse lo sguardo perché si sentì sotto esame.

Con la coda dell'occhio la vide aprire la bocca per replicare, ma fu costretta a lasciar perdere perché venne loro comunicato un incidente nei pressi del liceo, il suo vecchio liceo.

Quel liceo che era stato testimone della maggior parte degli errori commessi da Logan.

Con l'adrenalina che iniziò a scorrergli nelle vene, Grace e Logan sistemarono l'ambulanza velocemente, poi Logan si mise alla guida e Grace al suo fianco.

Non gli servì nemmeno sentire la voce del navigatore perché lui conosceva bene la strada che dall'ospedale portava al liceo.

Accese le sirene e sperò, come ogni volta, che nessuno fosse morto.

Logan non aveva scelto a caso di diventare paramedico. Quando aveva diciotto anni, credeva che non sarebbe mai stato in grado di laurearsi, di costruirsi un futuro lontano dai casini della sua adolescenza, ma la vita era strana e lo aveva messo difronte a molte strade tortuose che aveva dovuto percorrere per forza.

Quel lavoro lo aiutava a sentirsi meno inutile, ad espiare un po' delle colpe e dei rimorsi che ancora lo facevano stare male perché aveva compiuto un sacco di sbagli per cui ancora doveva perdonare principalmente se stesso.

Logan (Red Moon Saga 3) Where stories live. Discover now