Capitolo 2

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Quattro anni dopo

Jonathan's Pov.

Erano le 7:30 di mattina.
Il sole stava pian piano sorgendo, illuminando la tenuta e i verdi prati tutt'intorno.
Un raggio di sole penetrò la finestra aperta della stanza di Jonathan, punzecchiandogli il candido viso.
Il piccolo Nephilim aprì piano gli occhi, prendendo lentamente coscienza.
-Per l'Angelo! Oggi è il compleanno di mia sorella!- disse Jonathan, balzando giù dal letto e correndo verso la cucina.
In realtà , non si sapeva con certezza quando Seraphina compisse gli anni, Valentine non parlava mai della famiglia biologica della figlia, sapevano solo che capitava in gennaio e Seraphina scelse il giorno 23.

• • •

Seraphina's Pov.

Seraphina si svegliò di soprassalto, come uno studente che, nel cuore della notte, si ricorda di non aver fatto i compiti.
Corse alla finestra e aprì le tende, in modo che la luce si riversasse nella stanza.
Prese una maglia (rubata a Jonathan) nera, se la infilò e si raccolse i capelli in una treccia laterale, poi corse di sotto.
Che bello! Pensò. Finalmente io e il mio papà passeremo una giornata insieme, senza quello strano bambino angelico.
Era talmente felice, che per poco non cadde dalle scale.
Raggiunta la cucina sentì delle voci e, appoggiando l'orecchio sulla porta chiusa, riuscì a cogliere dei brandelli di una conversazione.
Le voci appartenevano a suo fratello e a Dorotha.
-... come è possibile che non sia in casa? Forse è andato a comprarle il regalo...- stava dicendo Dorotha.
- O forse aveva di meglio da fare e poi il regalo che lei aveva scelto, era quello di passare una giornata con lui e sinceramente non...- Il discorso di Jonathan fu brutalmente interrotto dalla massiccia porta in legno della cucina, che si spalancava.
Seraphina entrò.
- Lui dov'è?- chiese con una calma innaturale.
- Ehm... L-lui è...ehm.. B-buon compleanno!!- Dortha, presa alla sprovvista, cercò di formulare una frase di senso compiuto, il che fallì miseramente.
- Dove. Si. Trova. Valentine.- ripeté, con un notevole sforzo nel riuscire a trattenere le lacrime e la rabbia.
- Non c'è, come a solito direi. Non gliene importa niente né di te, né tantomeno di me, a lui importa solo dell'angoletto.- Rispose Jonathan con la voce intrisa di odio e rammarico. - Ma andiamo come si fa a non preferire noi ad un sentimentale del cavolo come lui! Non riesce nemmeno a sopportare la morte di uno stupido pennuto, che subito crolla in un pianto disperato!- aggiunse, poi, lasciando finalmente uscire tutto il disgusto che provava.
- Jonathan! Come puoi dire queste cose di un bambino, che neanche conosci!- sbottò Dorotha.
- Non ho bisogno di conoscerlo, so già che lo odierò. Sai, istinto.- rispose Jonathan con un ghigno.
- Sei irrecuperabile.- rispose Dorotha, con una infinita pietà.
Seraphina non sapeva più a cosa credere: al suo cuore, che le ricordava che Valentine, a modo suo, le voleva bene o a suo fratello.
- Tieni è per te- la voce dolce di Jonathan la strappò via dai suoi pensieri e si ritrovò con un pacchettino nella mano destra.
Era azzurro, legato con un fiocchetto blu scuro.
Lo aprì e dentro vi ci trovò uno splendido bracciale, con incisa una frase in latino:
Facilis descensus Averno.
È facile discendere all'Inferno.
-È tratta da Virgilio, Eneide- aggiunse Jonathan.
Seraphina gli saltò addosso e lo strinse in un abbraccio carico di devozione.
-Grazie è stupenda. Azzeccata anche.-
I due Nephilim risero di gusto.
-Era il minimo. Tu mi hai fatto questa meraviglia.- rispose Jonathan mostrano il bracciale che aveva al polso.
Acheronta movebo.
Se non posso muovere i Celesti muoverò gli Inferi.
-Non è niente di che...-
-Ora tocca a me!- disse entusiasta Dorotha, porgendo alla bambina un sacchettino nero con dei ghirigori bianchi e allegato vi era un bigliettino con su scritto: Aprimi e indossami.
Seraphina fece come c'era scritto e trovò uno splendido medaglione porta foto, con lo stemma dei Morgenstern.
-Oh cielo! È meraviglioso! Grazie infinite!- disse Seraphina sporgendosi per darle un bacio sul naso.
-E ora i pancake! Li ho fatti io!- disse Jonathan con entusiasmo.
-Beh ehm... Io non... Si insomma... Io non mangio, vorrei aspettare Valentine..- disse Seraphina, un po' in imbarazzo, visto che aveva appena mostrato il suo lato debole.
- Non credo che... - iniziò Jonathan, ma Dorotha gli fece un cenno di tacere e lui, dopo aver messo il broncio, tacque.

• • •

Ormai era l'ora di cena quando, finalmente, Valentine si degnò a rientrare.
Appena aprì la porta di casa, una testolina biondissima si alzò dal divano in pelle e gli corse in contro a braccia aperte.
Valentine si irrigidì e la guardò con sguardo truce.
-Seraphina cosa stai facendo?- chiese con voce profonda.
-Io ti aspettavo- piagnucolò. -Mi avevi promesso che avresti passato la giornata con me.-
Valentine la sorpassò e andò in cucina, dove vide che la colazione della figlia era ancora li, pronta.
-Non hai mangiato- constatò lui.
-Perché?- chiese.
-Beh io ti volevo aspettare...- rispose tristemente Seraphina.
- Ma io ho mangiato con Jonathan e...-
-NO! Lo sapevo lo sapevo che eri da lui! Ma anche il giorno del mio compleanno ci dovevi andare?! Mi avevi promesso che non lo avresti fatto! Non puoi per una volta, almeno fingere, di volermi bene e stare con me?!- urlò Seraphina in preda ad una rabbia incontrollata, non badando nemmeno alle lacrime che ormai scaturivano a fiotti dai suoi occhi e le andavano a bagnare la maglia.
-Perché mi respingi?! Perché respingi tutti?! Cosa ho che non va?! Non sono stupida, lo vedo che sei sempre felice e sorridente quando ritorni a casa, dopo essere stato dall'altro bambino! Perché non puoi essere così anche con me?-
Tutta la rabbia che provava, così come era venuta, scomparve in un attimo lasciando solo una grossa voragine, buia e profonda.
Il viso di Valentine era impassibile, come sempre.
Poi senza preavviso le afferrò un braccino e la trascinò nella "stanza delle punizioni", così la chiamavano i bambini.
Dopo essersi aggrappata ad un palo, Seraphina sentì la pelle della sua schiena come andare a fuoco, un dolore indescrivibile.
Una frustata, con una frusta demoniaca.
Fu proprio in quel momento che capì: Valentine non la amava affatto, non la considerava una figlia, l'aveva semplicemente creata affinché diventasse un brava guerriera (la migliore di tutti), una macchina da guerra, nient'altro.
Quando finì di frustarla, Valentine le si avvicinò e le sussurrò all'orecchio
-Amare è distruggere ed essere amati vuole dire essere distrutti, tu Seraphina sei un mostro e nessuno riuscirà mai ad amarti.-
Detto questo uscì dalla stanza, lasciandola sola.
Dopo qualche minuto Jonathan corse vicino a lei, con delle bende e degli anti dolorifici mondani.
-Lo stilo non riesce a richiuderle- rispose, notando lo sguardo interrogativo della sorella.
Allungò una manina e le tolse un po' di lacrime. Poi, si sporse verso di lei, l'abbracciò e le baciò la fronte.
Seraphina iniziò a ripetere nella sua testa, come un mantra: io sono un demone, sono la vera figlia di Lilith e mai più amerò e mai più mi fiderò di nessuno, fatta eccezione per Jonathan e Dorotha.

Shadowhunters Città delle vite rubateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora