Capitolo 3

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Capitolo 3

«Beatrice!» esultai, entrando in classe e sedendomi accanto a lei. Sorrise, e mi abbracciò come era solita fare.
«Norah, come stai?» chiese infilando la mano dentro il suo zaino e tirando fuori il libro di storia.
«Sto bene, e tu?» presi anch'io il libro e rivolsi la mia attenzione a Beatrice, visto che il professore non era ancora in classe. Stranamente oggi era in ritardo, lui che era sempre puntuale, anzi a volte ci aspettava seduto dietro la cattedra con il suo sguardo duro e severo. "Le generazione di oggi, dove andremo a finire?" sbuffava ogni volta. Era piuttosto fastidioso sentirsi dire quelle cose perché non tutti i giovani erano incapaci, irrispettosi e senza sogni. Io ne ero la prova vivente, l'eccezione che confermava la sua stupida teoria. Tra ventisette persone che stavano in classe, oltre a Beatrice, ero l'unica ad avere dei sogni e una certezza per il mio futuro, ma ovviamente non importava più di tanto. C'era chi non notava il buono in quell'ammasso di schifezza.
«Ho litigato con Nathan.» sospirò tristemente, abbassando lo sguardo verso le prime pagine del libro di storia. Nathan era il suo fidanzato, la loro storia durava da circa due anni, anche se si erano lasciati e ripresi parecchie volte. Non la biasimavo, lui non era il prototipo perfetto di ragazzo, era più facile litigarci che parlare normalmente. A volte Beatrice mi faceva pena, Nathan la trattava malissimo, quindi veniva da me e la consolavo mangiando insieme un gelato davanti ad un buon film.
«Mi dispiace, Bea.» dissi, cercando di non far abbassare ancora di più il suo malumore. Qualcuno entrò in classe e ci informò che il professore non stava bene e che la lezione era saltata. Quindi pensai di portare Beatrice con me e Graham alla casa a mare, affinché potesse aiutarci e magari svagarsi un po'.
«Perché non vieni con me? Mia madre mi ha consegnato le chiavi della mia nuova casa.» il suo viso si illuminò. «La casa al mare di zia Morgana, per essere più vicina alla Ocean Falls's University.» batté le mani più volte, eccitata.
«D'accordo, mi farà bene distrarmi.» rispose, nascondendo la sua malinconia. Accettai, dandole un abbraccio per confortarla. «Devo trovare Graham, adesso.» ridacchiai.
«L'ho visto andare in palestra.» m'informò.
Quando entrai nello spogliatoio maschile della palestra, notai Graham seduto sul quelle panchine di legno che ospitavano molti giocatori di football a scuola, ma lui era solo, immerso nell'immensità della stanza. La sua schiena era nuda, indossava solo i pantaloni, nulla di cui mi vergognavo, l'avevo visto mille volte, ma una sensazione strana si fece largo dentro il mio stomaco. Sentii qualcosa di surreale, come un nodo che non mi permise di respirare. La sua cicatrice sulla spalla sinistra mi rattristì, facendomi ricordare come se l'era procurata mesi prima. La porcellana di un piatto rotto conficcata dentro la sua pelle. Per non parlare del taglio enorme sul fianco e l'ematoma che ancora non era passato. Mi fece tenerezza e non potei che sentirmi impotente e inutile. Non ero in grado di fare qualcosa per lui. Potevo solo restare in secondo piano a guardare ciò che gli accadeva e curare le sue ferite come meglio potevo. Graham notò la mia presenza e si girò verso la mia direzione. Infilò la maglietta velocemente nascondendo le altre cicatrici e un..tatuaggio?
«Cosa..?» mormorai incredula. Lui si limitò a restare fermo, con i suoi occhi sorpresi puntati su di me. Sembrò preoccupato e agitato, ma anche terribilmente felice e sollevato che avessi notato quello che mi aveva nascosto. Ieri sera a causa del buio non avevo minimamente notato il tatuaggio.
«May..io non..» sospirò lasciando le parole leggere nell'aria. «Non volevo che lo vedessi.» continuò turbato. Mi accigliai, non riuscendo a capire il motivo di tutto quel mistero.
«Perché? Non mi arrabbio lo sai, non sono nessuno per giudicare le tue scelte.» lui fece qualche passo verso di me, e mi prese la mano, portandola sul suo petto.
«Non è questo, lo sai che tengo molto alla tua opinione..» il battito del suo cuore mi arrivò dritto sotto la pelle. Era in sintonia con il mio.
«Graham, perché tutto questo mistero?» domandai, fingendo un sorriso. La sua espressione preoccupata non lasciò il mio campo visivo. Fece scivolare la mia mano e si tolse la maglietta. Proprio sul punto della sua terza ed enorme cicatrice, forse la più terribile, a centro del suo addome, una rosa molto grande la copriva perfettamente. Sullo stelo, accanto ad una foglia decorata magnificamente il mio secondo nome, "May".
«Non sapevo come l'avresti presa.» fece spallucce, ed io ancora senza parole dovetti sedermi e riprendere fiato. Un tatuaggio, con il mio nome sopra, e una rosa, il mio simbolo, il fiore che mi regalava ogni mese. Era una cosa importante, anzi forse era fondamentale. Le persone si incidevano la pelle perché ritenevano che quella fosse una cosa da ricordare per sempre, qualcosa che gli avrebbe ricordato perché continuavano a resistere e sopravvivere. La loro unica forza, il motivo che li faceva respirare. Ero questo per Graham?
«May..» richiamò la mia attenzione sedendosi in ginocchio davanti a me. Il blu dei suoi occhi mi stava implorando di dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo a capire che non aveva rovinato niente tra noi. «L'ho fatto perché volevo, te lo meriti. Meriti di stare sulla mia pelle, per il resto dei miei giorni. Voglio ricordarmi per sempre chi si prese cura di me e mi tirò fuori da questo tunnel senza via d'uscita. May, come maggio, il mese delle rose, il mese in cui siamo nati.» fece una pausa, cercando il mio sguardo perso nel vuoto. «Forse tu non hai idea di quanto io ti voglia bene, e neppure io me ne rendo conto. Ma farei questo ed altro per riceve in cambio un tuo sorriso, l'unico che io meriti davvero.» potevo non piangere a quelle parole? No, dovevo piangere, e così feci. Mi lasciai andare su di lui che mi accolse tra le sue braccia, candendo entrambi a terra. Rise, cercando di scostare dal mio viso i capelli bagnati dalle lacrime. «Sei il miglior amico del mondo.»

May - May 2Where stories live. Discover now