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«Sono... esausto», queste erano state le prime parole che Harry era riuscito a dire, almeno dieci minuti dopo la fine del loro amplesso, steso a pancia in sù sul suo letto, gli occhi rivolti al soffitto, le mani appoggiate sulla pancia piatta e le gambe, dolenti, spalmate in modo scomposto sul materasso.
E quello era bastato a rompere la bolla di tranquillità e follia in cui era piombato Louis. «Già», aveva detto mettendosi a sedere, cercando con lo sguardo i suoi vestiti, «hai ragione, scusa, me ne sto andando». Poi, indossato l'intimo, si era alzato per infilare i jeans neri e la felpa leggera.

«Non l'ho detto per farti andare via», aveva assicurato il riccio, disteso supino, «era più una constatazione, un complimento perfino», aveva ammiccato. A questo, Louis aveva sorriso alzando gli occhi al cielo. «Grazie per... questo, insomma», aveva poi detto prima di andarsene, «mi serviva, ragazzino».

Harry aveva cercato di protestare a quell'appellativo, ma Louis, ridacchiando, se n'era andato prima di dargli il tempo di farlo.


*


Ognuno per la sua strada. Era stato lui a dirglielo. Eppure quella sera, Louis, si sentiva stanco di tutto. Di Stephen, quel bastardo, che a distanza di due mesi ancora ronzava nella sua testa; del lavoro che, per quanto s'impegnasse, non lo gratificava; di quel senso di inferiorità rispetto a tutto e tutti; di quel sentirsi mai abbastanza.

Non voleva piangere, seriamente, non voleva ridursi ad un mucchio di lacrime e schegge di disperazione, eppure non sapeva in che altro modo fare fronte a quella sensazione di inadeguatezza, tristezza e amarezza. E qui, tra questi pensieri e questa voglia di silenziarli, tra la volontà di sopprimere il pianto e il desiderio di rivalsa, gli era venuto in mente Harry. Era stato un pensiero illogico, improvviso, sbagliato perfino, ma Louis, in fin dei conti, aveva trovato un po' di serenità e di conforto nell'andare a letto con lui. Aveva trovato, in lui, un modo in cui zittire la sua testa sempre troppo problematica. E lo sapeva, dannazione se lo sapeva, che era tutto ingiusto ed inopportuno, ma ne aveva davvero, davvero, bisogno.

Sarebbe sbagliato dire che non ci aveva pensato due volte prima di uscire di casa e dirigersi verso lo stabile in cui sapeva abitare l'altro: Louis, al contrario, ci aveva pensato molto. Aveva valutato i pro e i contro, e alla fine aveva ceduto a quell'insensato e assurdo piano dettato dalla sua infelicità.

E così si era ritrovato lì fuori, all'improvviso incerto se suonare o meno il campanello, quando da lontano aveva sentito una voce dire «Hey, straniero! Che ci fai qui?».

Louis si morse il labbro. Ormai non c'era più una via di fuga. Si sentì quasi sollevato. «Ciao», mormorò quando se lo ritrovò sufficientemente vicino, «non c'è due senza tre?», provò a dire, sperando di risultare convincente, alludendo alle due volte precedenti in cui si erano visti.

Harry lo fissò a lungo, scandagliò il suo viso in lungo e in largo, soffermandosi poi sui suoi occhi gonfi e rossi. «Stai bene?», domandò inserendo le chiavi nella serratura del portone d'ingresso, spingendola e lasciandola aperta per far passare Louis per primo.

«Sì, sì», si affrettò a rispondere, «solo... possiamo... sai... Ti va?».

Harry ridacchiò, salendo le scale. «Fare sesso, intendi?».

Louis socchiuse gli occhi. «Fare sesso, ragazzino».

Harry lo fece entrare nel suo appartamento, chiudendo poi la porta dietro di loro, premendoci senza preavviso Occhi Blu contro. «Pensavo non fossi il genere di persona che fa queste cose, straniero», mormorò sensuale contro il suo orecchio, tracciando con le dita i fianchi, «non è che ti sei preso una cotta per me? Perché, in tal caso, ti ricordo che io non ho intenzione di prendere parte a questo gioco. Solo sesso senza impegno, sì?», concluse mordicchiagli il lobo sinistro.

Love Who You Are / Larry Where stories live. Discover now