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Harry aveva passato gli ultimi due giorni chiuso in casa, dandosi malato a lavoro, il telefono spento e le tapparelle abbassate. Come se non ci fosse. Come se non esistesse.

Aveva mangiato a stento, lo stomaco completamente chiuso, e anche nel suo letto - l'unico luogo in cui di solito dormiva abbastanza serenamente - aveva fatto degli incubi. Soprattutto la prima notte, dopo aver cacciato Louis e averlo sentito andare via per davvero.  

Quindi, sì, mentre si accingeva a tornare a lavoro, doveva sembrare sicuramente uno straccio. E se gli sguardi che la gente gli stava riservando erano indice di qualcosa, beh, sicuramente era perché aveva passato gli ultimi giorni a fingersi morto. E a piangere, ma quello non doveva saperlo nessuno.

Si avvicinò con cautela al suo posto di lavoro, guardandosi furtivamente attorno, impaurito di ritrovarsi quella persona davanti, come era successo, di punto in bianco, tre giorni prima.
Sembrò non esserci, tutto sembrava scorrere normalmente tra le strade di Londra, quindi aumentò il passo ed entrò in negozio. Salutò Niall, il suo collega deputato alla vendita, sistemò le sue cose dietro al bancone e si sedette alla scrivania per riprendere in mano i lavori che aveva abbandonato. Ogni tanto guardava allarmato fuori dalla vetrina in cui erano esposti i vari dispositivi elettronici che vendevano ma poi tornava a svolgere le sue faccende come se fosse un giorno qualsiasi. Finché non sentì la voce di Niall accogliere un cliente con un «ciao, amico! A quanto pare è il tuo giorno fortunato, è tornato!».

Harry alzò gli occhi per vedere chi fosse entrato e dall'altro lato della stanza vide Louis, che lo stava già fissando con uno sguardo serio ad inscurirgli la faccia.

«Harry, questo povero ragazzo ti cerca da tre giorni», rise il suo collega, ignaro del casino che Harry aveva passato, «ti avevo anche chiamato per dirtelo ma il tuo telefono era sempre spento. Menomale che sei qui oggi!».

Harry deglutì spostando lo sguardo dietro di sé, verso la porta sul retro che dava sul piccolo magazzino. «Niall», si schiarì la gola asciutta, «torno tra poco», il suo collega annuì, «Louis, seguimi per favore», disse alzandosi e aprendo la porta. Il maggiore lo seguì e quando furono lì dentro entrambi, di nuovo soli dopo ciò che era successo, si sentì infinitamente piccolo. Soprattutto sotto lo sguardo indagatore di Louis a scandagliargli ogni angolo del viso.

«Come stai?», sussurrò il maggiore dopo un tempo che sembrò infinito.

«Bene», si affrettò a rispondere Harry, «sto bene. Ho avuto l'influenza, sai... brutta cosa, mi ha bloccato a casa nei giorni scorsi», mentì, «come mai mi cercavi qui? Hai bisogno di qualcosa? Ti si è rotto il computer? Puoi portarlo, te lo aggiusto e-».

«Harry», lo bloccò l'altro, «non c'è bisogno di mentire, lo sai perché sono qui», lo scrutò, «come stai davvero?».

Harry chiuse gli occhi e abbassò le spalle. «Meglio», che non voleva dire niente, solo che stava... meno peggio, il che era vero.

«Cos'è successo?», domandò cautamente Louis, avvicinandosi di qualche passo per sistemargli un riccio sulla testa, «l'altro giorno, dico. Cos'era successo?», mormorò piano, quasi come se avesse paura di farlo scappare.

Harry deglutì, ipnotizzato dal modo delicato di parlare del maggiore, dal modo casuale ma piacevole con cui stava continuando a riordinare i suoi capelli anche se probabilmente non ce n'era più bisogno. «Una cosa brutta», sussurrò, incantato da quella vicinanza diversa dal solito.

«Quanto brutta?», sussurrò Louis, lo sguardo a tradire una punta di preoccupazione.

Harry sospirò. «Non troppo, in realtà... ma per me... parecchio».

Love Who You Are / Larry Where stories live. Discover now