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Harry detestava ricevere telefonate da sua madre.
Non c'era niente che potesse fare a riguardo, era così e basta. Lei e la sua voce dolce, sempre alla ricerca di attenzioni, sempre intrisa di speranza di poter ricostruire il loro rapporto. Inutilmente. Harry non sapeva più come farglielo capire. Non c'era un modo per poter risanare il loro legame: certi connessioni, una volta spezzate, non si possono riaggiustare.
Eppure lei ci riprovava ogni volta, con quella sua chiamata fissa ogni primo del mese. Come quel primo giorno di giugno. Harry aveva risposto, in fin dei conti era pur sempre la donna che lo aveva messo al mondo e con cui aveva vissuto per tanti anni, ma come ogni altra volta si era limitato a rassicurarla circa il suo benessere e a ricordarle che no, nemmeno quel giorno, avrebbe ottenuto altro da lui.

Harry non aveva altro da darle. Letteralmente. Per anni aveva rivolto tutto il suo amore a quella donna, a sua madre, ricevendo in cambio solo batoste. Non ne valeva più la pena. Aveva provato a capirla, a mettersi nei suoi panni, per un periodo ci era anche riuscito, ma crescendo aveva raggiunto la consapevolezza di non meritare quella vita, quello struggimento, quei traumi che aveva subìto da piccolo. E quindi basta: corda tagliata, ognuno per la sua strada da ben 8 anni.

Otto anni di chiamate potenzialmente riappacificatrici che Harry, nonostante tutto, non sapeva rifiutare. Anche se le odiava.

Sbuffò passandosi una mano tra i capelli. La finestra aperta del salotto faceva entrare gli ultimi caldi raggi di sole della giornata, ricordandogli che ormai era quasi finita. Si affacciò per guardare la strada sotto di lui, la gente sorridente, le automobili intrappolate nel traffico, il ristorante italiano di fronte a casa sua già alle prese con una dozzina di persone da servire all'esterno e chissà quante altre all'interno. Tutto scorreva normalmente, come ogni altro giorno. Sospirò scacciando la faccia di sua mamma dalla sua mente. Andava tutto bene. Per un mese ora poteva stare di nuovo tranquillo. Era ok. Poteva chiamare qualcuno o uscire a cercare qualcuno per la notte, e il due giugno sarebbe arrivato in un battito di ciglia.

Afferrò il cellulare, cercò il contatto senza nome, salvato come "bho ma sempre disponibile" e digitò velocemente «sono Harry, ti aspetto fuori casa mia tra mezz'ora».


*


Forse non era stata una buona idea passare il proprio giorno libero a buttare tutte le cose riguardanti il proprio ex fidanzato sparse per casa in sacchi neri della spazzatura. Davvero, era stata sicuramente una pessima idea. Louis lo sapeva. Non era più triste, dopo tre mesi, era più che altro deluso, arrabbiato, schifato perfino, ma certe cose facevano ancora comunque male. Forse lo avrebbero fatto per sempre.

Stephen era stato... tanto, per lui. E per tanto tempo. Non si dimenticano facilmente gli anni passati insieme, le cose fatte insieme, i sogni condivisi insieme. O meglio, Louis pensava fosse così. Era palese che quello stronzo del suo ex non fosse d'accordo, visto che ci aveva messo poco a dimenticarsi di tutto quello.

Louis grugnì di rabbia, dolore e frustrazione. Non tanto per Stephen, quanto per se stesso, che a 30 anni non era ancora riuscito ad essere abbastanza per qualcuno.

Mai, mai, abbastanza. Per nessuno.

Dopo aver riempito l'ultimo sacchetto si alzò in piedi, si ripulì i pantaloni e afferrò i sacchi per buttarli, finalmente, nella spazzatura.
Prima di uscire si guardò allo specchio in entrata, il sole filtrava ormai debole dalla finestra, giocando timidamente sul suo viso, e per una volta, nonostante indossasse una semplice tuta e non ci fosse niente di speciale in lui, si vide... interessante. Sicuramente quei riflessi dorati, beneficio del tramonto, aiutavano. Forse qualcuno, passando sotto casa sua mentre lui buttava i resti - metaforici - di Stephen, avrebbe pensato addirittura che fosse bello, nonostante tutto.

Love Who You Are / Larry Where stories live. Discover now