1- Imprevisti

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"Forse non sappiamo veramente di star morendo finché non accade."


«Sai Ivs... Tu mi ricordi un po' quella macchina.»

Mio fratello indicò una stanza dai vetri trasparenti, con all'interno un'opera completamente meccanica con una grossa pozza d'olio al di sotto. Non faceva che tirare verso di sé quel liquido viscoso e tinto di uno strano colore rossastro, somigliante al sangue.

«Ma, Miles! È un robot!» replicai e storsi il naso, quasi disgustata. Tra tutte le opere carine che c'erano, aveva deciso di compararmi proprio a quel mostro.

«Si chiama "Can't help myself"» spiegò. «È una macchina destinata a morire, ma che lotta in ogni modo da sola per salvarsi.» Sorrise e mi circondò le spalle, attirandomi contro il suo caldo e confortevole petto.

Mi liberai con uno strattone. «Non mi piace, Miles. Io non assomiglio a quel coso.» Non capivo: mi aveva comparata a una strana macchina, tra l'altro anche brutta, che lottava inutilmente. Che non faceva che spargere quel liquido dappertutto per poi tentare di ripulire il disastro. Io non facevo cose inutili!

«Sei ancora troppo piccola, mostriciattola. Col tempo capirai le mie parole, e capirai da sola se avevo ragione o no.» Mi fece l'occhiolino, e poi si allontanò per andare a osservare meglio l'opera.

Io restai lì, da sola e imbronciata, con in mente solo quattro parole. "Sei ancora troppo piccola".

«Io non sono troppo piccola!» mormorai, tra me e me, dimenticandomi completamente il discorso di mio fratello.


Can't help myself.

Non posso aiutare me stesso.

Ma io posso aiutare me stessa.

Io posso combattere da sola e vincere. So che posso contare su di me per affrontare i miei problemi.

O almeno, gli altri lo fanno sempre. Si affidano a me, cercando un consiglio che possa cambiare loro la vita. Perché non dovrei essere in grado di farlo anche con me stessa, allora?

Otto anni fa, quando mio fratello mi paragonò con la "Can't help myself" non capii cosa intendesse dire, ma adesso, con la mente di una diciassettenne, comprendo molte cose in più: lui mi vedeva come un essere solitario. Un essere che anche in punto di morte avrebbe cercato in ogni modo di cavarsela da solo senza chiedere nulla a nessuno.

Forse aveva ragione, ma su una cosa si sbagliava sicuramente: io non mi spegnerò mai come quella macchina. Non morirò mai come lei.

Io resisterò. Non mi arrenderò mai. Supererò in ogni modo tutti gli scherzi che la vita mi presenterà davanti, proprio come la sua morte.

Come la morte di mio fratello.

O la scomparsa di mia madre.

Due scene accomunate da soltanto due cose: sangue e urla.

Forse anche lacrime.

Quando le persone mi chiedono qual è stato l'evento più sconvolgente della mia vita rispondo semplicemente con una scusa, perché la verità è troppo per loro. Li fa diventare troppo compassionevoli. Smielati. Troppo dolci e ossessivi sul mio stato d'animo. Questo solo perché provano pena. Pena per una ragazza in lutto.

Non comprensione. Non una parola di conforto.

Solo pena. Neanche fossi un cucciolo di cane randagio denutrito e senza le capacità base per sopravvivere. Destinato a morire.

Il Bracciale delle TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora