Lacrime

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Ci sono giorni in cui apro gli occhi e sento di dover piangere,

così,

mi alzo e, una volta preparata, esco di casa.

Mi accendo una sigaretta, inizio a dare un tiro, poi un altro,

e sulla guancia sento delicate e silenziose lacrime scendere,

in quel leggiadro movimento mi pare quasi di sentire carezze.

Cammino,

mi chiedo perché io sia triste,

e non trovando una risposta,

continuo a camminare.

Piango e piango e piango.

Arrivo a scuola,

e mi prometto che sarò sorridente,

che agli altri porterò gioia.

Non tutte le mattine sono uguali,

a volte la mia maschera si crepa,

ed esce il dolore.

Esce come escono i serpenti dal loro covo.

Come il mio volto si riempie di onde del mare,

vedo le persone come orde di pesci dirigersi all'unisono verso me,

un tempo mi piaceva essere al centro di tutto e farmi compatire,

ma ora è diverso.

Adesso mi piace quando la gente vede la mia forza,

quando mi ammira,

e credo che piangere annienti la mia immagine.

So che è sbagliato,

al tempo stesso però,

non penso che gli altri meritino di vedere il mio dolore.

Sono egoista,

egoista quando scrivo,

egoista quando parlo,

ma soprattutto,

egoista quando piango.

Così,

mi percuoto e mi ripeto che io devo essere forte.

Purtroppo devo ammetterlo,

sono stanca,

troppo stanca,

passano i secondi,

i minuti,

le ore,

i giorni,

le settimane,

i mesi,

gli anni.

Eppure mi sembra di rivivere sempre le stesse emozioni.

Rido,

sono felice,

cala la malinconia,

piango,

sono triste,

poi torno a ridere,

poi torno a piangere.

È normale,

tutti hanno giorni si e giornate no,

ma quel che sto cercando di far capire,

è che per me sono tutte giornate no.

Io vorrei addormentarmi la sera e pensare a qualcuno.

Io vorrei svegliarmi al mattina e pensare a qualcosa.

Io vorrei vivere la giornata pensando alla vita.

Invece, tutte le mie giornate sono vuote,

non riesco più a pensare,

a sentirmi piena.

So che in realtà,

la mia testa è talmente piena che come tutte le volte,

applica un meccanismo di black-out in cui spegne tutti i pensieri e mi spingein uno stato di apatia totale dove non so più neanche chi sono.

Quando torno a casa da scuola,

sorrido,

mangio,

saluto i miei cari,

vado in camera,

e studio.

Nello studio sto trovando la salvezza,

sto fuggendo dalla vita.

Certo è più semplice pensare alla vita degli autori Settecenteschi anziché alla propria.

Leggere, imparare, leggere,

soffocare.

Esattamente,

sto soffocando i miei pensieri e li sto rimpiazzando con informazioni pur di non crollare.

Continuo a domandarmi cosa ci sia da piangere,

e tra la mia amnesia indotta,

non riesco a ricordare.

Non ricordo quando è l'ultima volta in cui fossi viva,

non ricordo quando ho iniziato a portare una maschera,

né quando ho imparato a nascondermi così bene.

Nessuno dubita che in me ci sia dolore,

tutti lo sanno,

ma nonostante ciò, nel vedermi sorridere percepiscono che tutto è ok.

E vorrei crederci anch'io,

ma so che da qualche parte la mia enorme diga ha una crepa,

devo solo scoprire dove.

Così tutte le mattine continuo a svegliarmi pensando che nulla abbia davvero senso,

che io sorrida, pianga, mi arrabbi o addirittura rida,

le persone non vedranno qualcosa di diverso dall'ordinario.

Io sono sempre io,

posso ridere,

posso piangere,

posso urlare,

posso tagliarmi i capelli,

posso vestirmi in modo stravagante,

ma alla fine la gente vedrà solo una ragazza.

Porto una maschera per non pesare sugli altri,

per non apparire quella drammatica.

Ripeto,

voglio che gli altri mi vedano forte.

-arrivo al punto-

Non voglio che gli altri mi vedano forte,

in realtà voglio vedermi forte,

e convincermi di esserlo.

Ma per l'appunto,

so di non esserlo,

e che porto una maschera.

Io vorrei solo tornare come prima,

il problema è che non so più neanche come fossi prima,

e a questo punto: come posso io desiderare qualcosa che non conosco?

Non posso,

quindi,

continuo a camminare,

mi accendo una sigaretta,

e mi chiedo che cosa ci sia da piangere.


Pagine strappate dal cuoreWhere stories live. Discover now