Nuvole e cacao

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Erano passati alcuni giorni,

eppure sembrava fosse passato tanto tempo,

senza parlargli.


Lui era stato così freddo,

fino al giorno prima della mia partenza,

come sempre.


Tutte le volte che sapeva,

di non potermi vedere quando voleva,

si apriva un pochino.


E di solito mi dava un bentornata molto freddo,

questa volta è stato diverso,

gliel'ho impedito.


Mi sono scaraventata di fronte a lui,

con gli occhi spalancati,

a parlar del più e del meno.


Nella vana speranza,

che a lui arrivi qualcosa,

ma è come parlar di colori ad un daltonico.


Così gli ho parlato subito,

e lui sorrideva.


Sapevo dentro di me,

che in quella pioggia nei suoi occhi,

un po' di felicità c'era.


Che se fossimo stati in un altro posto,

forse mi avrebbe abbracciata,

e forse mi parlerebbe di più.


A me va bene così,

io lo capisco,

so quanto sia difficile.


Gli avevo tirato una pugnalata nelle spalle,

proprio dopo che si era fidato di me,

in modo così innocente.


Come un bambino alle quali vengono date caramelle avvelenate,

il cui dolce sapore,

provoca la morte.


E un morso a quel gusto proibito,

per me,

l'aveva dato.


Ed io da brava stupida,

l'ho lasciato solo,

in quel momento.


In cui lui aveva bisogno di me,

quanto io ne avevo di lui,

accanto a me.


Ora quando passeggio per la strada,

mi guardo sempre attorno,

e vedo la sua ombra.


Pagine strappate dal cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora