I fiori del male

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Tutti i giorni che passano,

li conto.

Tutti i torti che subisco,

li conto.

Tutti i peccati che vedo,

li conto.

Quando a fine giornata mi sdraio,

rifletto.

E penso a tutti,

dal primo all'ultimo.

La mattina mi alzo,

faccio le mie cose.

Durante il giorno cammino,

a testa bassa.

Ogni qual volta io alzi gli occhi,

mi accorgo.

Mi accorgo del male che c'è,

della tristezza negli occhi degli altri.

Così,

mi fermo.

Accendo una sigaretta,

poi un'altra.

Passeggiando mi guardo un po' attorno,

e il mio cuore viene avvolto dal male.

Il mio corpo era marcio,

marcio come tutti.

Ogni estate andavo al mare,

e sentivo il sole bruciare la mia pelle.

E mi faceva male sì,

ma io continuavo a stare sotto il sole.

Sulla mia pelle sorgevano lentiggini ad ogni bruciatura, e il mio corpo diventava arte. Arte brutta, rozza e poco originale, un corpo sul quale la gente camminava come si cammina su un tappeto, un corpo sul quale la gente si sfogava come su un sacco da box, un corpo sul quale la gente sporca come in discoteca con i mozziconi di sigarette di ogni tipo. Ma io restavo lì, ad ammirare e sentire dentro me quel dolore. A guardare tristi passanti persi tra i loro pensieri. A contare le ore che passavano e come esse influissero sui vari momenti che stavo vivendo. "Un corpo non salvabile, le quali membra sono state torturate e sul quale hanno viaggiato fin troppi pendolari".

Mi sentivo così,

sentivo come se migliaia di persone avessero attraversato le strada per un secondo e io fossi stata le strisce pedonali.

La gente usa,

la gente se ne va.

Sulla mia pelle crescevano orchidee blu, rose rosse, tulipani gialli e ogni tanto quando passava troppa gente qualche fiore si strappava lasciandomi sanguinare. Io me ne fregavo, lasciavo che la notte con le sue stelle illuminasse il dolore e il sole coprisse i segni con delle graziose lentiggini. Dal naso gocciolavano petali, e gli squali affamati lo scambiavano per sangue, prendendomi per mano, divorandomi lentamente. Il mio grido straziante era silenzioso.

Dentro di me io continuavo ad amare,

a sognare,

a vivere.

Ultimamente nella scrittura sono violenta,

per dare l'idea di ciò che una persona possa provare.

Così dove mi giro e rigiro,

e penso.

A te,

che stai leggendo.

Sì proprio te,

e ti domando:

"che cosa hai capito di quel che dico?"

Probabilmente tra te e te starai pensando di non saperlo,

ma io so che di per certo hai capito,

capito tutto.

Il male che c'è in te,

in me,

in tutti.

Quando al mattino ti alzi,

e senti ancora la stanchezza,

una stanchezza struggente che ti uccide.

E vorresti tornare a casa,

ma non sai più dove casa sia.

Così,

come me,

come tutti,

continui a camminare a testa bassa per non vedere che stai passeggiando su un prato di fiori appassiti,

dove noi siamo solo superstiti.

Pagine strappate dal cuoreWhere stories live. Discover now