18. Cavallo di Troia

125 19 74
                                    

"Ehi, tutto bene? Ho provato a chiamarti... Come è andata col tuo ex?"

Due telefonate senza risposta e un messaggio su Whatsapp.

Mirko l'aveva cercata. Erano poco prima delle 9, quando Viola aveva lasciato casa sua per incontrarsi con Enrico.
Guardò l'orologio: 11.10. Era un'ora e quaranta che vagava.

Aveva perso la cognizione del tempo.

Aveva passeggiato a lungo da sola, passando in tutti i posti di Sabaudia che amava.
I ricordi felici della sua infanzia di bambina avevano lenito appena quella ferita di nuovo aperta. Adesso, che pensava si stesse cicatrizzando, tornava a bruciare.

Come una crosta strappata via troppo presto, così il sangue aveva ripreso a scorrere. Sarebbe rimasta lo stesso la cicatrice, questo già la lo sapeva, ma così il segno sarebbe stato più evidente, sempre visibile, pronto a ricordarle chi glielo aveva fatto.

Pensava di sapere cosa aspettarsi da Enrico. Sapeva che dal loro incontro non sarebbe nato nulla di buono. Ma questo andava oltre qualunque immaginazione.

Viola si fidava della madre.
Ok, non avrebbe vinto un premio come madre dell'anno. Non era stata la mamma amorevole di cui Viola avrebbe avuto bisogno in quel momento, ma pensarla capace di un gioco così, no.
Viola si era fidata, ancora una volta, della persona sbagliata.

Enrico e la madre erano stati il suo Cavallo di Troia.
Peccato che non avesse avuto un Laocoonte ad ammonirla. Magari lei sarebbe stata più lungimirante dei Troiani e l'avrebbe ascoltato.

—-
«Per primo accorre, davanti a tutti, dall'alto della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba; e di lungi: "Sciagurati cittadini, quale così grande follia? Credete partiti i nemici? O stimate alcun dono dei Danai privo d'inganni? Conoscete così poco Ulisse? O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura, per spiare le case e sorprendere dal alto la città, o cela un'altra insidia: Troiani, non credete al cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai anche se recano doni.»

(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro II, vv. 40-50)
—-

Si ritrovò, senza accorgersene, davanti al Lilandà.

Scese la scala piano. A ogni gradino, il vento scompigliava un po' di più i suoi capelli mossi.
Si tolse le infradito, prima di toccare la sabbia. Il sole di quell'ora era caldo, ma non ancora bruciante.

Quella sensazione di calore ai piedi era una coccola, così come lo stare controvento, guardando il mare mosso. Si avvicinò all'acqua. Le onde si infrangevano a riva e la battigia si era fatta più ampia, arrivando quasi alla prima fila di ombrelloni.

Viola respirava profondamente quell'aria ricca di iodio, mentre con i piedi disegnava linee semicircolari sulla sabbia battuta.

Il mare era agitato, come lo era lei. Eppure lì, riusciva a percepire una strana calma.

Si tolse shorts e maglietta e li appoggiò sul pattino. Poi si tuffò tra le onde.
La ferita bruciava, ma quel sale l'avrebbe aiutata a cicatrizzarla.

Solo la sua Sabaudia poteva farlo.

*

"Viò, tutto bene?? Perché non rispondi!? Cazzo! Mi stai facendo preoccupare!"

Un'altra telefonata e un altro messaggio WhatsApp di Mirko.
Era mezzogiorno quando Viola suonò al campanello di casa sua. Sapeva che era solo. Le aveva scritto mentre lei stava andando all'appuntamento con Enrico, dicendole che l'avrebbe aspettata a casa, chiedendo a Roberta di portare Giorgia in spiaggia.

La prima estate - Viola Where stories live. Discover now