-7. Senza cuore -

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24 febbraio
Lydia camminava decisa per i corridoi semivuoti della scuola. Quel giorno, a causa del ritrovamento di Evan in molti erano rimasti a casa, chi come Clarissa per rispondere alle domande della polizia, chi per poter piangere lontano dagli occhi dei propri compagni. Ma lei no, per quanto la notizia l’avesse sconvolta e le avesse impedito di dormire, non poteva rimandare il suo personale interrogatorio.
Ognuno ad Heston aveva una teoria riguardante prima la sparizione e poi la morte di quel povero ragazzo, lei compresa e, sebbene nessuno immaginasse minimamente che Lydia potesse centrare qualcosa, visti i suoi scarsi rapporti con la vittima, lei non poteva resistere alla tentazione di togliersi quel tarlo dalla testa. Forse quella vicenda era correlata a ciò che Evan aveva saputo su di lei, o per meglio dire su di loro…
Era stata poco prudente e la sua sicurezza l’aveva tradita. Credeva di avere tutto sotto controllo, come sempre e si era fatta beccare. Eppure aveva portato avanti quella storia per quasi due anni senza che nessuno sospettasse nulla. Come aveva fatto ad essere così stupida? Sapeva meglio di chiunque altro che quel genere di verità, prima o poi, vengono a galla, e non aveva fatto i conti con le conseguenze delle sue azioni. Pensava di essere più furba di tutti, di essere invincibile, ma si sbagliava e quel suo errore poteva aver avuto un esito tragico. Raggiunse l’aula professori, ma prima di entrare ripercorse velocemente quella mattinata, sperando di poter tornare a quel giorno e cancellare ciò che aveva fatto e, soprattutto, detto.
5 dicembre
Erano di nuovo lì, al riparo dagli occhi di tutti. Le loro labbra non riuscivano a separarsi e il rossetto che la ragazza aveva stupidamente deciso di indossare quel giorno, imbrattava i loro volti sudati. Era tutto come sempre: il buio, il silenzio, l’odore acre della polvere che contrastava con il suo profumo delicato. In quella monotonia opprimente la mente di Lydia vagava. Valeva davvero la pena fare tutto ciò solo per alzarsi la media? Era davvero quello il motivo che la spingeva a tornare tutte le volte in quello sgabuzzino angusto, o c’era qualcosa di più? Si disse che non aveva senso cercare di darsi determinate risposte. A giugno avrebbe preso il diploma e sarebbe partita per il college e quell’assurdità sarebbe terminata, o almeno lo sperava.
Si guardarono negli occhi e si scambiarono un sorriso complice. Quella scintilla di passione che brillava nelle sue iridi fece dimenticare a Lydia le sue preoccupazioni e, per l’ennesima volta, si lasciò andare. “Se non lo vedono è come se non succedesse.” Si ripeteva alimentando la sua incoscienza. Aveva sempre organizzato quegli incontri con la massima cura, recandosi nella parte meno frequentata della scuola, negli orari in cui sapeva che i suoi compagni non sarebbero mai entrati in biblioteca, attendendo i momenti in cui la bibliotecaria si assentava per fare qualunque cosa faccia una signora di sessant’anni nel tempo libero.
Si strinsero, mordendosi vicendevolmente il collo e le orecchie in un impeto convulso di libidine. Ormai il loro era un copione consolidato, si conoscevano così tanto da sapere esattamente cosa fare per darsi piacere a vicenda. Ma proprio sul più bello, proprio quando le cose iniziavano a farsi interessanti, captarono un rumore, e sollevarono il capo all’unisono. “Ho sentito qualcosa.” Sussurrò Lydia. Una mano provò a trattenerla, ma la ragazza si divincolò, avvicinandosi alla porta con cautela. Prima che potesse raggiungere la maniglia però la luce dell’esterno la travolse e con essa lo sguardo attonito di Evan. Il ragazzo dai capelli corvini osservò quei due corpi seminudi e pericolosamente vicini senza dire una parola, per poi fuggire. Lydia sentì come un pugno nello stomaco, era stata scoperta, e nella sua testa risuonava un ordine: “Fermalo”. Si infilò velocemente la maglietta color senape e lo inseguì, cercando di cancellare la macchia cremisi che le contornava la bocca.
“Evan aspetta!” Lo chiamò e con suo grande sollievo il giovane si voltò. Lydia riusciva a percepire la repulsione che provava per ciò che aveva appena visto. “Come se lui fosse nella condizione di giudicarmi.” Pensò, ricordando ciò che nascondevano lui e Rebecca.
“Non lo dirai in giro vero?” Chiese con la voce ancora rotta dalla corsa e dalla paura. Se ne avesse parlato con qualcuno non sarebbe passato molto tempo prima che l’intera scuola ne venisse a conoscenza, e lei avrebbe perso tutto. La sua borsa di studio per la Seattle Pacific University, la fiducia di sua madre, che l’avrebbe certamente cacciata di casa, e quei pochi amici che era riuscita a farsi in quella maledetta scuola. Le sarebbe rimasto solo un cumolo di cenere e vergogna.
“Lydia ma ti rendi conto di quello che stai facendo?” Evan era sconvolto, ma per lei era normale essere “gentile” per ottenere dei favori in cambio, era dal primo anno che usava quella tecnica per rendersi la vita più semplice e non le sembrava più una cosa immorale, ma soltanto qualcosa da nascondere.
“Non sono affari tuoi.” Affermò senza perdere il contatto visivo. “Non voglio sapere cosa ne pensi, devi solo stare zitto.” Evan rise, anche se Lydia non riusciva a capire cosa ci fosse di così divertente. E fu proprio quel ghigno a farla decidere. Non sarebbe voluta arrivare a tanto, ma era l’unico modo che aveva per proteggere ciò che aveva costruito con fatica. In un liceo come il loro l’immagine era tutto, e non se la sarebbe fatta certo rovinare da quel verme.
“Se tu non parli, io non parlo.” Il ragazzo fece qualche passo nella sua direzione, accorciando le distanze già brevi tra di loro. Lydia lesse il terrore nei suoi occhi, stava vincendo lei, come sempre del resto. Amava la sua capacità di osservazione. Le bastava pochissimo impegno per sapere tutto di una persona e questo dono le tornava spesso utile in situazioni simili. Risulta più facile abbattere un avversario quando lo si conosce come le proprie tasche, quando si sa con certezza dove e quando colpire. “Cosa vuoi dire?” Lo sentiva tremare e questo le piaceva più di qualsiasi altra cosa, anche più di ciò che aveva lasciato in sospeso in quello stanzino.
“Che sarebbe davvero un peccato se Clarissa venisse a sapere di te e Rebecca proprio adesso che sta per sfornare un piccolo Evan.” Alzò il mento soddisfatta, ma l’espressione del suo rivale la fece rabbrividire. Prima che lui potesse proferir parola, Lydia capì di aver appena fatto una cosa terribile, l’ennesima.
“Tu non lo sapevi?” Le parole le uscirono dalla gola ancor prima che potesse pensarle. Come era possibile che lui non se ne fosse accorto? Rebecca lo aveva distratto a quel punto? Erano settimane che Clarissa vomitava quando pensava che nessuno potesse vederla, che mangiava in modo sregolato e senza curarsi più dei valori del cibo, che prima controllava quasi ossessivamente. Stava iniziando a prendere peso e soprattutto aveva lasciato le cheerleader, perché sì, sotto maglioni di lana e cappottini riusciva a nascondere la pancia, ma con la divisa sarebbe stato davvero difficile non notarla.
In che modo Evan non aveva colto quei segnali? Delle volte Lydia si chiedeva se fosse lei ad essere estremamente sveglia o se fossero tutti gli altri a non accorgersi mai di nulla. Vide Evan scuotere il capo e sospirare rassegnato, provò a mettersi nei suoi panni, per comprendere l’uragano che stava scuotendo la sua anima, ma non ci riuscì. Lei non era mai stata particolarmente empatica. “Tranquilla, non avrei parlato comunque.” Sussurrò evidentemente sconvolto, e detto questo si voltò sparendo dalla sua vista, lasciandola sola, con tutta la sua subdola intelligenza.
24 febbraio
Ripensando a quella frase sentì nuovamente lo stesso senso di vuoto dentro di sé. Si era spesso chiesta come mai le risultasse così semplice ferire le persone, e soprattutto perché poi non riuscisse a sentirsi triste quanto avrebbe dovuto. Si guardò il petto, cercando di capire se avesse o meno un cuore, ma trovò solo quella scollatura strategica che utilizzava per farsi pagare la colazione dagli sfigati del secondo anno. E questo le bastò come risposta.
Accantonò quegli stupidi sentimentalismi ed entrò nella stanza decisa. Il professor Helliot era seduto sulla sua solita poltroncina rossa, con un caffè fumante in una mano e alcuni fogli sgualciti nell’altra. Sentendo la porta che si apriva, l’uomo sollevò lo sguardo, inarcando il sopracciglio sinistro. Salutò la sua alunna, ma lei lo ignorò, dirigendosi senza esitare verso il suo obbiettivo.
“Buongiorno signorina Hollard, avrei bisogno di parlarle.” La donna ebbe un sussulto, ma recuperò in fretta il contegno. “In privato.” A quelle parole Helliot si alzò e con un cenno del capo si congedò, lasciandole sole.
La professoressa di francese abbandonò i compiti che stava correggendo e si avvicinò a Lydia, pronta a stringerla nuovamente tra le sue braccia. “No.” Non era lì per quello, ormai la loro relazione era finita e Joice avrebbe dovuto farsene una ragione. “Voglio solo parlare.” La sua voce era fredda e tagliente, cercava di mascherare il disagio e la paura sotto una coltre di ghiaccio, e ci stava riuscendo. La donna la osservava impassibile, ormai doveva essersi abituata al carattere difficile e spigoloso della sua giovane amante.
“So già cosa vuoi chiedermi, e no, io non c’entro nulla. Quindi se non c’è altro ti pregherei di…” Joice stava per andarsene ma Lydia la trattenne, non sapeva nemmeno lei il perché. Le afferrò un polso e a denti stretti le ordinò di stare zitta. Non poteva realmente liquidare una questione così importante con qualche parola banale e prevedibile. Lei aveva bisogno di esserne certa, doveva saperlo con assoluta sicurezza. “So come sei, e so che eri arrabbiata con Evan, che avevi paura che parlasse.” Joice scosse la testa e sospirò. “Pensavo ci fosse qualcosa di reale tra noi…” mormorò “…non posso accettare che tu mi creda in grado di fare una cosa simile. Evidentemente non mi conosci abbastanza.” 
Lydia sorrise. Conosceva tutto di lei: le sue abitudini, i suoi colori preferiti, quale tipo di shampoo usava, il profumo che metteva quando era di buon umore. Ma anche la sua mania del controllo, la sua possessività, l’ossessione che aveva sviluppato per lei. Non pensava che l’avesse ucciso per tenere quello stupido segreto al sicuro, ma per la rabbia che la loro rottura aveva causato. Lydia infatti aveva deciso di lasciarla dopo che Evan le aveva viste. Si era resa conto che il rischio che stava correndo era troppo alto e l’aveva abbandonata. E sì, pensava davvero che, per vendicarsi di ciò, Joice potesse arrivare a commettere un simile abominio.
“Ti conosco anche troppo bene. E so bene di cosa sei capace.” Nei loro occhi la passione non si era ancora spenta, la scintilla di follia che brillava in Joice continuava ad affascinare e a far eccitare la studentessa, che si odiava ogni momento di più per questo. “Ti ho già chiesto scusa mi sembra.” “Sì ma non hai mai smesso di farlo.” Continuava a sentirsi monitorata da lei, ogni volta che si approcciava a qualche suo compagno di classe riusciva a percepire la sua gelosia scorrerle lungo la spina dorsale. Aveva sempre fatto finta di niente, ma quando si rese conto che la donna la seguiva da scuola fin sotto casa, iniziò ad averne paura.
“Senti Lydia non so cosa tu voglia da me. Ci siamo lasciate e ci ho messo un po’ per riprendermi, e vederti flirtare tutti i giorni con quei ragazzini mi ha dato fastidio. Avrei voluto…” “Farmi quello che hai fatto ad Evan?” Quella frase uscì di getto, come al solito Lydia non era in grado di ragionare prima di muovere la lingua.
Una sonora sberla le fece formicolare la guancia destra. Incredula la giovane si sfiorò il volto. Non le aveva mai messo le mani addosso, almeno non in simili contesti. La professoressa la afferrò con forza per la maglia, avvicinando la sua faccia alla propria. “Non ti permettere mai più.”
Non se lo fece ripetere due volte. Si allontanò da lei, ancora più confusa ed impaurita di prima. Si massaggiava la zona ferita sebbene il dolore fosse già quasi svanito. Il calore della vergogna si impossessò di lei, e, con la coda tra le gambe, uscì dalla saletta.
Nel corridoio andò a sbattere contro Robert che camminava distrattamente, probabilmente assorto nei pensieri che accomunavano tutti ormai da due mesi. “Lydia, che ti è successo?” Le dita vermiglie stampate sulla pelle candida della ragazza non lasciavano troppo spazio all’immaginazione. “Fatti i cazzi tuoi Robert!” Urlò superandolo velocemente.
Appena girato l’angolo però, si appoggiò al muro, scivolando lentamente fino al pavimento. Perché doveva essere sempre così malvagia con chiunque? Sentiva di essersi guadagnata quello schiaffo. Una persona come lei, senza cuore, senz’anima, non meritava altro che dolore e, sicuramente in quella cassa di legno sarebbe dovuta esserci lei al posto di Evan.

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