-15. Chi?-

0 0 0
                                    

1 marzo
Michael uscì dal suo ufficio quando ormai il sole era sparito da tempo. Era stanco e amareggiato, come sempre da quando quel ragazzo aveva fatto perdere le sue tracce. Aveva tanto sperato che fosse semplicemente fuggito, che suo figlio non dovesse subire l’ennesimo lutto, ma purtroppo proteggere Albert da avvenimenti simili non era nei suoi poteri. Albert, quel suo ragazzo così sfortunato era fuggito da Seattle per scappare da una tragedia terribile, e così facendo ne aveva soltanto incontrata un’altra, possibilmente peggiore.  Lui si augurava, in quanto detective di potergli dare quantomeno delle risposte, per alleviare il suo dolore, ma brancolava nel buio.
Non c’era nulla che avesse senso in quella faccenda. L’assassino non aveva lasciato tracce, nessuna impronta, nulla. Era stata trovata solo una minuscola scheggia di vetro, conficcata tra le dita della mano destra di Evan, ma era troppo piccola per poterne ricavare del materiale biologico, e per capire esattamente da dove provenisse ci sarebbe voluto molto tempo. Avrebbe potuto essere un frammento di un orologio da polso, la lente di un occhiale, il pezzo di una bottiglia. Non era nemmeno detto che appartenesse ad un oggetto del killer, poteva trovarsi semplicemente sul terreno in cui Evan aveva perso la vita.
Ripensò a quel corpo verdastro che Ivy aveva avuto la sfortuna di trovare. Contorto in una cassa, con gli occhi ancora spalancati e vuoti, le labbra violacee e semiaperte in un urlo che non aveva avuto il tempo di far uscire. Il suo collo era squarciato, ancora qualche centimetro e sarebbe stato decapitato. Trattenne un singhiozzo, non era da lui sconvolgersi a quel punto. Aveva visto centinaia di cadaveri nella sua carriera, in condizioni anche peggiori, ma quella volta era diverso.
Lui conosceva Evan, il ragazzo andava spesso a casa loro, studiava con Albert e Ivy, li sentiva parlare per ore di tutte quelle questioni frivole che per gli adolescenti sono così importanti. Era una persona vitale e solare, non lo aveva visto triste nemmeno una volta e quella sua gioia era in grado di contagiare chiunque. Grazie anche a lui Albert era tornato a vivere, a sorridere, nonostante tutto. Eppure, sotto quella giovialità nascondeva un mucchio di problemi. Tradiva la sua ragazza, pur sapendo che fosse incinta, aveva rotto i rapporti con il migliore amico che avesse mai avuto e aveva un debito di centomila dollari che lo aveva spinto a rapinare la banca di Heston con due dei peggiori teppisti della città. Non il comportamento che ci si aspetta dal ragazzo più popolare della scuola.
Ma restando ad Heston si era reso conto che nei piccoli paesi l’apparenza inganna più che nelle metropoli. In posti come quello tutti si conoscevano e si sentivano costretti a portare delle maschere che li rendesse socialmente accettabili. Tra professori che avevano relazioni con i loro studenti, genitori assenti, giri di droga, fidanzati violenti e chissà che altro, quel posto non era affatto il paradiso che la famiglia Marshall si aspettava di trovare.
Aprì la porta di casa e salutò Albert e la sua amica, che ormai passava più tempo da loro che nella sua abitazione. “Ciao ragazzi.” Lì salutò sforzandosi di sorridere e chiese loro come fosse andata la giornata. “Il professor Clive mi ha chiesto di cantare al funerale.” Rispose Ivy senza guardarlo negli occhi, non lo faceva mai. Michael si congratulò con lei e sospirò. A lui quel Clive proprio non piaceva. Lo aveva interrogato solo superficialmente, per sapere se Evan avesse avuto comportamenti atipici in classe negli ultimi periodi della sua vita, ma non gli aveva fatto una buona impressione. Era sì goffo e impacciato, ma questo non lo rendeva stupido e, durante il loro colloquio, aveva tentato più spesso di avere maggiori informazioni sul caso. Michael odiava quella curiosità morbosa che dilagava attorno ai casi di cronaca, come se fosse vitale conoscere ogni dettaglio di un indagine per sopravvivere. La gente raramente si rendeva conto di quanto le indiscrezioni sui casi fossero dannose. Oltre ciò, il professor Clive gli sembrava estremamente viscido, non era affatto contento che un uomo simile fosse a così stretto contatto con ragazzi così giovani.
“Tutto bene papà?” Domandò Albert vedendolo pensieroso. “Sì stavo solo riflettendo. Ti fermi a mangiare da noi Ivy?” Ormai gli sembrava anche stupido chiederglielo, cenava con loro quasi tutte le sere. A lui e a sua moglie faceva piacere, in primo luogo perché quell’amicizia faceva davvero bene ad Albert, ma anche perché conoscendo la situazione familiare della ragazza erano contenti di poterle dare una mano. Avevano anche pensato più volte d chiederle se volesse trasferirsi lì, vivere insieme alla loro famiglia, ma la ragazza era troppo orgogliosa per accettare una proposta simile. Non aveva nemmeno voluto farsi prestare i soldi per la gita di inizio anno e si sentiva in obbligo di ricambiare la loro ospitalità portando sempre dolci e stuzzichini preparati da lei, o fiori della sua serra. Era davvero una brava persona, nonostante tutte le stupide voci che giravano su di lei in quel maledetto posto. Michael trovava davvero ingiusto tutto ciò che le stava accadendo. Sia lei che suo figlio avevano una vita abbastanza dura già prima che qualcuno assassinasse il loro amico.
Doveva risolvere al più presto quel mistero, per permettere loro di riacquistare un po’ di serenità. Per lo meno per restituirgli la possibilità di uscire di sera senza temere di essere uccisi a loro volta. Sì perché, nonostante la Keller ne fosse praticamente certa, lui non credeva affatto che quei due giovani russi fossero coinvolti. Forse su Emil avrebbe potuto avere qualche dubbio, vista la sua freddezza e impassibilità, ma Andrey era decisamente fuori discussione. Anche se a guardarlo appariva come un cane rabbioso, nei suoi occhi si poteva leggere l’ingenuità e il terrore di un cucciolo impaurito.
Il suo era solo un personaggio, costruito forse per proteggersi dal mondo esterno, ma non era così cattivo o ribelle come cercava di mostrare. E in ogni caso le sue argomentazioni erano sensate: perché uccidere Evan e rubargli solo la metà dei soldi che aveva ricavato dalla rapina? Perché non prenderli tutti? No, la ricostruzione della sua collega non tornava affatto, anche perché quei soldi mancanti non erano mai stati ritrovati. Non c’erano prove che potessero giustificare una loro incarcerazione, e lui ne era certo, il vero assassino era ancora libero e sereno.
Si ritirò nel suo studio e iniziò a sfogliare per l’ennesima volta quel fascicolo, cercando di dare un senso a quell’omicidio. C’era più di una persona che poteva desiderare la morte di Evan, ma nessuno sembrava poter essere collegato direttamente al delitto.
Helia, secondo lui, era in prima fila. Visto il suo carattere irascibile e violento non si sarebbe stupito di vederlo presto dietro alle sbarre. Per ora il rosso si era guadagnato soltanto un ordine restrittivo nei confronti di Rebecca, ma per lui avrebbe meritato la galera e anche di peggio. Ma purtroppo, non c’erano indizi che portassero ad ipotizzare un suo coinvolgimento, anzi, aveva un alibi. La sera in cui Evan era morto, Helia svolgeva il turno di notte nella sua azienda e più di un testimone aveva giurato che non si fosse mai mosso.
Altri sospetti erano il padre di Clarissa e Francois, ma secondo lui erano entrambi innocenti. Il primo era eccessivamente borghese per arrivare a sporcarsi le mani in quel modo, piuttosto avrebbe provato ad allontanarlo dalla figlia dandogli del denaro. Il secondo, invece, non aveva un vero e proprio movente. Avevano litigato, ma quel genere di cattiveria non poteva essere causata da sciocchezze simili.
Michael sapeva che mancava un pezzo, che qualcosa gli era sfuggito, ma non riusciva a capire cosa. “Amore è pronto.” La voce di Linda interruppe il suo flusso di coscienza e l’uomo fu costretto a rimandare nuovamente le sue interminabili indagini.
A cena sia lui che la moglie provarono a parlare d’altro, a distrarre i ragazzi, ma senza successo. “Pensa davvero che sia stato Andrey?” Ivy non distolse lo sguardo dal suo piatto di spaghetti. L’uomo sorrise, trovava tenero che dopo tutto quel tempo gli desse ancora del “lei”.
“Sinceramente no. Ma tu lo conosci meglio di me, pensi ne sarebbe capace?” Albert lo fulminò con gli occhi, rimproverandolo. La sua professione lo aveva condizionato tanto da trasformare qualsiasi sua conversazione in un interrogatorio. Ivy alzò le spalle, per nulla turbata da quel quesito. “Credevo non fosse in grado neanche di commettere una rapina se è per questo.” Sul quartetto calò il silenzio e proseguì fino a quando Ivy non si alzò dal suo posto. Li salutò e si mosse velocemente verso l’ingresso, sebbene non avesse terminato la cena. Albert la seguì e dopo poco tornò a tavola.
“Vuole parlare con lui.” Annunciò rassegnato, tornando mestamente al suo pasto. Terminata la cena, Michael decise che avrebbe fatto due chiacchere con suo figlio. Il suo sesto senso gli diceva che quel ragazzo gli stava nascondendo qualcosa di importante. Poteva vedere l’angoscia sul suo volto, la stessa che non lo aveva abbandonato per mesi dopo la morte di Carly. In qualche modo Albert si sentiva in colpa, si sentiva responsabile per quanto stava accadendo in quella cittadina, e lui doveva capirne il motivo. Quella volta non avrebbe fatto l’errore di portarlo lontano dai problemi, sarebbe rimasto lì, al suo fianco, e lo avrebbe aiutato a superarlo.
“Allora, come stai?” L’uomo entrò nella camera del ragazzo, il quale era intento a controllare il telefono. Osservava una chat, quella con Ethel. Lui stesso l’aveva interrogata: era una persona particolarmente fragile e difficile da gestire. Scoppiava in lacrime facilmente, ma non diceva mai nulla di rilevante.
“Sei in pensiero per lei?” Si sedette sul letto dalle lenzuola blu notte, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Non capisco cosa le sia successo papà. È come con…” Si morse il labbro e Michael capì senza difficoltà a cosa si stesse riferendo. “Tu hai qualche ipotesi?” Albert era molto intelligente, aveva spesso intuizioni brillanti e più di una volta lo aveva aiutato nei suoi casi. Riusciva sempre ad osservare le situazioni da un punto di vista che altri nemmeno credevano esistesse. Almeno finché la vicenda non lo riguardava da vicino. Con Carly aveva fatto di tutto per cercare di scoprire cosa l’avesse portata a compiere quel gesto, ma non aveva trovato nessuna risposta e Michael temeva non ci sarebbe riuscito nemmeno quella volta. “Credo che lei sappia chi sia stato e che ne abbia paura.” Entrambi restarono muti a ragionare. Certo Ethel poteva essere stata testimone dell’omicidio, o forse, come Albert sembrava ritenere più probabile, ne era stata la causa stessa. Ma perché? Cosa diavolo stava accadendo a quella ragazza?
“Finirà come Carly papà. Lo sento.” Lo abbracciò, dimenticando il suo solito modo di fare burbero e anaffettivo. “Non succederà Albert. Sta volta la salveremo…” Avrebbe voluto prometterglielo, ma non ne era certo nemmeno lui. Finché non avesse trovato la verità non poteva assicurare nulla al suo bambino. Ma era determinato, doveva fare qualunque cosa per riuscirci. Albert non avrebbe sopportato un altro abbandono.
Doveva risolverlo, lo doveva a lui, lo doveva ad Ivy, a Ethel, a Clarissa e al suo bambino, ma soprattutto lo doveva ad Evan. Si rimise al lavoro, ricomponendo tutte le dinamiche di quel gruppo di ragazzi sulla sua lavagna, rimanendo sveglio fino al sorgere del mattino seguente. Dopo ore di deliri e dubbi, credeva di essere arrivato ad una soluzione che mettesse insieme tutti i pezzi. Dallo strano comportamento di Ethel fino ai soldi scomparsi e all’appuntamento notturno. Credeva di aver compreso il movente e il modo, forse anche il luogo, ma gli mancava ancora una domanda a cui dare risposta: Chi?

SECRETSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora