- Una nuova possibilità -

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10 aprile
Albert osservava Ethel, stesa nel suo letto d’ospedale, con gli occhi serrati ormai da un mese. Secondo i medici si sarebbe potuta risvegliare da un momento all’altro, e lui non voleva che si ritrovasse sola. Per questo, quando la madre della ragazza non poteva vegliarla, Albert la sostituiva. Portava con sé qualche libro da leggerle, oppure accendeva la musica, facendole ascoltare le ultime canzoni in uscita. Le raccontava delle sue giornate, i pettegolezzi scolastici, le novità sul caso.
Il professor Clive era dietro alle sbarre, in attesa di giudizio. Il giudice non gli aveva nemmeno concesso la cauzione. Nel frattempo l’accusa stava esaminando attentamente il diario che Ethel aveva lasciato, le pagine in cui la ragazza aveva descritto l’orrore che quell’uomo l’aveva costretta a subire. Raccontava con dovizia di particolari la prima aggressione, come tutte le altre e ciò che questi episodi avevano provocato in lei, fino a spiegare come, ad una festa, dopo aver bevuto troppo, aveva deciso di raccontare tutto ad Evan. Dopo quella notte aveva provato a convincerlo di essersi inventata tutto, ma ormai era troppo tardi e lui si era deciso a salvarla. Evan non le aveva detto come, ma quando aveva saputo della rapina alla banca aveva collegato subito. Lui voleva pagarlo perché se ne andasse.
“Non poteva funzionare” scriveva “Nessuna cifra lo avrebbe convinto a lasciarmi.” E aveva ragione. Clive, dopo le prime resistenze, aveva confermato tutto e aveva detto chiaramente, senza vergognarsi delle sue parole, che né centomila dollari, né qualsiasi altra quantità di denaro valeva il controllo che aveva ottenuto su Ethel e quello che avrebbe presto esercitato su altre sue compagne.
Aveva ammesso infatti, che aveva già provato a fare lo stesso a numerose studentesse ma che loro si rifiutavano di andare a prendere lezioni private da lui, o che in altre occasioni era stato interrotto dall'arrivo di qualcuno.
Albert sospirò. Finalmente quell'uomo era in carcere, lontano da tutti loro. Evan avrebbe avuto giustizia, Andrey ed Emil erano stati scagionati, Ivy e le altre ragazze della scuola erano al sicuro ed Ethel non avrebbe più dovuto avere paura.
Mentre le prometteva che la sua vita sarebbe tornata normale le teneva la mano, aspettando con pazienza che gli desse una risposta. “Sai Clarissa sta per partorire, non vedo l’ora di sapere se è un maschio o una femmina. Trovo curiosa la sua scelta di non farselo dire prima, io non ce l’avrei mai fatta. Anche solo per scegliere il…”
Sentì bussare alla porta e quando si voltò vide la madre di Ethel, accompagnata da Ivy e Francois, che ormai facevano coppia fissa e non si sforzavano più di nascondere la cosa.
"Siamo venuti a vedere come state." Disse la sua amica avvicinandosi a lui. "Stiamo?" "Sei sempre qui Albert, i tuoi amici si preoccupano." Intervenne Camille, mentre cambiava i fiori nel vaso accanto al letto di Ethel.
"Ti andrebbe di venire a bere qualcosa sta sera?" Albert scosse la testa, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza dormiente. "No, grazie, la prossima volta che uscirò con voi, ci sarà anche Ethel." Francois si sedette accanto a lui, senza sapere cosa dirgli.
La sua speranza lo lasciava disarmato. Non si sapeva se e quando Ethel avrebbe riaperto gli occhi e lui sarebbe rimasto al suo fianco per sempre, pur di riaverla accanto. Normalmente gli avrebbe consigliato di farsi una vita, di andare avanti, di godersi i suoi anni migliori ma quell'atteggiamento era così commovente che non aveva il coraggio di dire nulla a riguardo, come le infermiere non avevano cuore di obbligarlo ad andare via.
"Allora rimaniamo noi." Propose Ivy sorridendo. "Se per la signora Thompson non è un problema." La donna scosse la testa e dopo aver stampato un bacio sulla fronte della figlia disse: "Anzi, mi fa molto piacere vedere che Ethel ha così tanti buoni amici. Io poi ho due scimmiette a casa che mi aspettano." Li salutò, per poi correre dai suoi bambini.
Le ore passavano velocemente, tra risate e chiacchiere. I tre ragazzi avevano a fatica ritrovato la serenità di un tempo. Heston era nuovamente un posto tranquillo, un luogo perfetto in cui crescere e in cui vivere, come era sempre stato. L'unica preoccupazione che ancora avevano era Ethel ma tutti e tre erano speranzosi. Forse era la perseveranza di Albert a dar loro tranquillità, ad indurli a pensare che si sarebbe certamente risvegliata da un momento all'altro.
Proprio mentre Ivy rifletteva su questo, il macchinario a cui Ethel era costantemente attaccata, fece un suono e subito il grafico verde che scorreva sul monitor, subì una variazione. Non erano medici e non sapevano se si trattasse di un segno positivo o negativo. Pertanto, Francois balzò in piedi e corse a cercare un'infermiera. Quando tornò con la donna al seguito, però, trovò Ethel già sveglia e visibilmente confusa.
Subito accorsero un paio di infermiere e un medico, che fecero uscire i suoi amici, per controllare in tutta sicurezza che lei stesse bene. L'attesa sembrava interminabile, e nel frattempo, Albert aveva telefonato alla madre della ragazza perché corresse immediatamente in ospedale.
Quando finalmente fu permesso loro di entrare nella piccola stanza, videro che Ethel era totalmente spaesata ma stava bene. "I dottori dicono che ho dormito quasi un mese" Affermò con voce mite e rilassata, come se la cosa non la stupisse affatto. "Credevo di essere morta". Gli occhi di Albert si inumidirono. Il suo primo impulso sarebbe stato quello di correre ad abbracciarla ma, temendo di farle male, si limitò ad avvicinarsi. Ivy e Francois sentendosi di troppo, tornarono in corridoio e li lasciarono soli.
"Tu lo sai." Constatò Ethel, dopo che Albert le fu più vicino. Lui le afferrò una mano, stringendola tra le sue. Annuì. "Lo hanno arrestato." Disse sforzandosi di sorridere. Apparve sollevata e per qualche secondo rimase a guardare il soffitto, assorta nel nulla. Poi gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine. Non pensava che sarebbe stata felice di tornare a vivere, ma aveva capito di essere stata stupida.
La morte non le faceva paura, sembrava quasi una consolazione, ma perché privarsi di una vita che avrebbe potuto renderla felice? Ora che Clive era in carcere, le sembrava possibile tornare alla normalità. "Perdonami." Sussurrò, immaginando quanto Albert avesse sofferto. Pensò a cosa avrebbe provato se lui avesse fatto la stessa cosa e venne assalita dai sensi di colpa. "Ti perdono." Rispose il ragazzo, dandole un timido bacio sulle labbra, facendo sempre attenzione a non ferirla. "Ma solo se vieni al ballo con me." Ethel annuì e lo salutò, sua madre era davanti alla porta che attendeva di poterla vedere.
Albert uscì sorridente, e lei lo osservò a lungo, mentre parlava con Ivy e Francois. “Come ti senti tesoro?” Chiese sua mamma accarezzandole dolcemente la fronte. Ethel si guardò i polsi bendati. “Bene.” E per la prima volta dopo tanto tempo non stava mentendo. Certo, le era capitata una disgrazia inenarrabile, aveva vissuto il peggiore dei gironi infernali sulla sua pelle, ma nonostante tutto, nonostante il dolore e la paura, la vita stava tornando ad apparirle luminosa. Le era stata data una nuova possibilità e non l’avrebbe sprecata.

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