-8. Il musicista -

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7 ottobre
Ivy, Ethel ed Albert entrarono silenziosamente nell'aula di musica, come al solito erano gli unici ad essere in orario. Soltanto loro due sembravano non ritenere quella materia inutile e quasi facoltativa. Passarono qualche minuto a chiacchierare, finché non videro entrare il professor Clive in classe.
Appoggiò le sue borse sulla cattedra, facendone cadere una, che, a giudicare dal rumore, doveva contenere qualcosa di fragile. Nel tentativo di recuperarla, gli occhiali rotondi e spessi gli scivolarono dal naso e lui, rialzandosi li pestò. Ivy si avvicinò a lui per aiutarlo. All'inizio aveva riso, ma poi aveva iniziato a farle tenerezza.
Era estremamente impacciato nei movimenti quotidiani da rendere incomprensibile la sua maestria nel suonare qualsiasi strumento gli venisse presentato. Le sue dita, che solitamente facevano scivolare qualsiasi oggetto prendesse in mano, e che spesso restavano chiuse tra le porte e i cassetti, erano incredibilmente aggraziate, solo e soltanto se dovevano sfiorare le corde di uno strumento.
"Grazie Ivy." Rispose Clive, prendendo dalle mani della ragazza i suoi occhiali, sedendosi poi al suo posto e cercando di non far notare il suo evidente imbarazzo. Lentamente tutti gli alunni entrarono in classe, mentre lui li attendeva a braccia incrociate, cercando di recuperare un po’ della dignità che gli era appena caduta.
Quando tutti furono ai loro posti, iniziò ad interrogare. Ognuno doveva presentare un brano a sua scelta, eseguendolo con il suo strumento. Ethel fu la prima ad iniziare, come al solito. Clive aveva una spiccata preferenza nei suoi confronti, ed Ivy non poteva biasimarlo. Ethel era infatti molto abile con il violino, lo suonava da quando aveva quattro anni ed era quasi perfetta. Tutti in classe invidiavano quella sua capacità, che ella aveva tenuto nascosta per anni.
"Spratt tocca a te?" Era rimasta così inebetita dalla bellissima esibizione della sua nuova amica che si era scordata che poi sarebbe toccato a lei suonare. Ivy si coprì il viso con una mano, mentre con l'altra, cercava il suo strumento nella grande borsa nera che utilizzava come zaino, sperando di averlo scordato a casa.
Si alzò dal suo posto mal volentieri, arrivando fino alla cattedra. Si voltò verso i suoi compagni ed iniziò a soffiare dentro a quell'odioso flauto. Non era mai stata brava in musica, faticava a memorizzare le note e aveva le mani talmente piccole da non riuscire a coprire tutti i buchi. Era lenta, sgraziata e stonava spesso.
Il prof, fortunatamente, la bloccò subito dopo la terza battuta. "Ivy, vedo che non sei preparata." La ragazza abbassò lo sguardo, sapeva che quella prova le avrebbe abbassato la media drasticamente. Non era brava nella pratica ma nella teoria se la cavava, al contrario di Ethel, che nelle verifiche scritte non raggiungeva mai voti più alti della C.
"Non preoccuparti, può capitare a tutti di non essere pronti, pensi di riuscire a recuperare per la settimana prossima?" Clive non amava assegnare voti negativi, aveva sempre considerato la sua materia una valvola di sfogo, qualcosa in cui rifugiarsi nei momenti più bui, non un motivo di angoscia. Si era ripromesso di insegnare ai suoi studenti ad amarla e sapeva che un'insufficienza non li avrebbe certo incoraggiati a proseguire nello studio.
"Non lo so prof..." Ivy lo guardava come se stesse per mettersi a piangere. Non era in grado di suonare, lo sapeva e nemmeno se avesse avuto un anno di tempo per prepararsi, avrebbe risolto qualcosa, anche perché esercitarsi a casa sua era praticamente impossibile. "Beh Ivy, se vuoi venire nel mio ufficio più tardi, potrei darti una mano con qualche ripetizione. Oppure se preferisci, puoi anche cambiare strumento."
La ragazza lo guardò perplessa, non aveva alcuna voglia di trascorrere altre ore a scuola, ma non sapeva che altro strumento poter suonare. Aveva scelto il flauto perché era quello meno costoso e non poteva certo chiedere a sua madre di comprarle qualcos'altro.
"Anche la voce vale?" Non aveva mai cantato in pubblico ma lo faceva spesso quando si trovava sola, non sapeva se fosse portata o meno, ma sicuramente le riusciva meglio del flauto, tutto le riusciva meglio del flauto. "Certo, anzi, avremmo bisogno di una cantante per la festa di fine anno." Ivy andò a sedersi pensierosa. Non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di cantare di fronte ai suoi compagni di classe, però si sarebbe potuta sforzare, pur di raggiungere la sufficienza.
Più tardi quel pomeriggio, Ivy andò a casa di Albert a studiare, avevano invitato anche Ethel, ma lei aveva rifiutato. Era rimasta a scuola, per prendere ripetizioni di solfeggio. "Quindi, tu sai cantare?" Chiese Albert, ricordandosi improvvisamente della conversazione che Ivy aveva avuto col prof quella mattina. La ragazza scosse la testa. "Mi piace, ma non credo di essere brava, non ho mai studiato." Rispose evitando il suo sguardo, sapeva benissimo dove Albert volesse arrivare.
Quello probabilmente, era il momento migliore per testare le sue abilità. Si fidava del suo amico, sapeva che le avrebbe dato un parere sincero, senza però offenderla in caso avesse fatto schifo. Nonostante questo sentiva lo stomaco contorcersi per l'ansia. Non aveva mai cantato di fronte a nessuno, se non a suo padre quando era ancora una bambina.
Alla fine Albert, non senza difficoltà, riuscì a convincerla. Ci impiegò circa una mezz'ora, ma ne uscì vincitore. La ragazza prese il suo telefono e fece partire un video karaoke. Era una canzone di Sam Smith, Albert credeva di averla già sentita, probabilmente era la colonna sonora di un film, anche se non riusciva a ricordare quale, era troppo distratto dalla voce di Ivy; era delicata, calda, melodiosa e mentre cantava sembrava credere realmente in ciò che diceva. I suoni che produceva erano influenzati dalle sue emozioni. Dalle vibrazioni che emetteva si poteva percepire l'imbarazzo che provava, ma anche tutta la tristezza che trasudava quel testo. Lei si immedesimava, come se stesse vivendo davvero quel determinato stato d'animo, come se avesse realmente subito un abbandono che la faceva soffocare. Mentre cantava, teneva gli occhi chiusi per non vedere il suo ascoltatore, ma anche per concentrarsi completamente sulle parole e sulle sensazioni da esse generate.
Al termine della canzone riaprì gli occhi, incerta e spaventata, accompagnata dagli applausi di Albert e di Evan, che era arrivato poco prima, senza che lei lo notasse.
"Non sapevo cantassi." Esclamò prendendo posto accanto al padrone di casa. La pelle di Ivy aveva assunto una colorazione magenta a causa della sorpresa e della vergogna. "Comunque sei sensazionale." Aggiunse Evan, non per educazione, non era il genere di persona che faceva complimenti senza motivo, lo pensava davvero e Albert confermò, ammettendo di essersi addirittura commosso.
"La prossima settimana Clive ti darà sicuramente una A." Disse, prima di aprire il libro di matematica. Ivy sorrise, iniziava a sciogliersi, anche grazie ai loro complimenti inaspettati. "Mi basta una C." Rispose estraendo un quaderno ad anelli nero dalla borsa.
Iniziarono a svolgere gli esercizi che il prof di matematica aveva assegnato loro la settimana precedente, senza capirci quasi nulla e cercando di indovinare la maggior parte delle risposte lasciando l’esito al caso. Ivy trovava estremamente noiosa ed inutile quella materia, non riusciva a capire a cosa le sarebbe servito nella vita reale, saper disegnare gli asintoti di una funzione o saper calcolare un radicale. Ma purtroppo non poteva saltare quel corso.
"Hai risolto con Clarissa?" Chiuse il quaderno, essendosi già stancata di quello strazio e si alzò dal tavolo prendendo un succo di frutta dal frigo. "Posso vero?" Domandò ad Albert ridendo, dopo aver già bevuto un sorso. "Certo Ivy, fai pure come se fossi a casa tua."
Evan intanto, rispose alla domanda. Aveva fatto pace con la sua ragazza ma confidò loro di essere un po' preoccupato, non avevano discusso nemmeno una volta da quando si erano messi assieme e ora, dopo quella maledetta gita, non facevano altro che litigare, anche per le più piccole stupidaggini.
Né Ivy, né Albert erano esperti di relazioni, nessuno dei due infatti aveva mai avuto una storia, Ivy in realtà, non era nemmeno mai uscita con un ragazzo. Aveva dato un bacio, qualche anno prima, ma non era sicura di aver fatto un buon lavoro. Tentarono in qualche modo di consolarlo, dicendo che in una coppia, discutere era normale e che forse Clarissa aveva un brutto periodo a causa della scuola o di qualcos'altro che la preoccupava. Evan sorrise, non si sentiva rassicurato da ciò che avevano detto i due, ma apprezzava lo sforzo.
Terminata la sessione di studio e di pettegolezzi Albert riaccompagnò a casa Ivy. “Perché non hai mai fatto sentire a nessuno la tua voce? Sei brava.” Albert insisteva a ripeterle quella domanda, e finalmente lei si decise a rispondere. “Perché è stato mio papà ad insegnarmi… e farlo mi ricorda lui.” “E tu non lo vuoi ricordare?” Ivy sospirò. Non gli aveva mai parlato di lui, e Albert non le aveva mai fatto domande, ma forse era il momento giusto per aprirsi con qualcuno. “Ok, ti racconterò tutto, ma tu non devi dirlo a nessuno. Soltanto Evan lo sa, sua madre era amica della mia quindi… E sa benissimo anche lui che se dovesse parlarne con i suoi amici sarei pronta ad ucciderlo.” Albert la rassicurò, non si sarebbe mai permesso di fare una cosa simile, ed era sicuro che per Evan valesse lo stesso.
"Tu sai che mio padre non vive con me..." Iniziò, tenendo lo sguardo basso sulla linea bianca che costeggiava la strada, su cui lei camminava come se si trattasse di una corda da funambolo. "Sai, lui è un musicista, in realtà non so se lo sia ancora... quando ero piccola litigava spesso con mia madre, proprio per il suo lavoro. Lei odiava il fatto che tornasse sempre tardi, che suonasse tutto il giorno per non guadagnare nulla e non sopportava il fatto che mi insegnasse a cantare, temeva che diventassi una fallita come lui." Ivy rise, ripensando al modo in cui sua madre lo aveva sempre trattato, come se lui non valesse nulla, mentre lei non aveva mai lavorato in vita sua e in quel momento viveva tra cibo precotto e bottiglie di whisky.
"Un giorno, mia madre lo ha scoperto con una ragazza che avrà avuto circa diciotto anni, forse anche meno. Era una delle ragazze a cui dava lezione di chitarra. Da quel giorno non l'ho più visto, credo che sia fuggito con lei, ma in realtà non ne sono certa."
Aveva sempre immaginato la fuga romantica di suo padre con questa nuova ragazza, come quelle che si vedono nei film. Forse erano andati alle Hawaii e vivevano insieme. Magari aveva anche dei fratelli o delle sorelle e nemmeno lo sapeva.
Il ragazzo ascoltò in silenzio il racconto, gli dispiaceva davvero molto per Ivy, ma non sapeva cosa dire o fare per aiutarla. Non c'era un modo per alleviare il suo dolore, le parole avrebbero potuto solo peggiorare la situazione o apparire vuote e superficiali. La avvolse tra le sue braccia, stringendola. Era da tanto tempo che qualcuno non l’abbracciava in quel modo. Era da anni che non sentiva quel senso di protezione e affetto.
"Avevo sette anni e mezzo."  Lui non glielo aveva chiesto, ma era ovvio che volesse saperlo. "Mi ha fatto un regalo, prima di andare via... Mi ha lasciato la sua collana, l'aveva comprata durante un viaggio in Australia prima di conoscere la mamma. Aveva moltissime conchiglie e un paio di denti di squalo e io la indossavo sempre sotto la maglia, per tenerla con me, ma nascosta." Sorrise e si toccò il petto, come se sperasse di ritrovare quell'oggetto appeso al suo candido collo. "Ma mia madre l'ha vista, e alla prima occasione l'ha buttata via." La sua voce si fece aspra e carica d'odio. Ripresero a camminare, il sole stava iniziando a sparire dietro l’orizzonte e Ivy voleva essere a casa prima che facesse buio.
Lungo la strada, cercò di consolarla, non tanto per la fuga di suo padre, più per il comportamento della donna che viveva con lei. "Ti conviene venire al College con me, finita la scuola, così non dovrai più vederla.” Ivy sorrise, sarebbe stato un sogno ma non aveva abbastanza soldi per frequentare il College, quindi si sarebbe accontentata di ciò che aveva e di un misero lavoro nella gelateria del quartiere, cosciente di avere soltanto due modi per liberarsi di lei: sposarsi con un uomo ricco o ucciderla. Arrivati di fronte alla casa della giovane, si diedero un ultimo abbraccio. "Vorrei venire a vivere da te." Mormorò Ivy, per poi osservarlo mentre si allontanava nella calda luce rossastra del tramonto.
Stava per aprire il cancelletto arrugginito quando intravide una figura che la osservava da lontano. Per un istante, un solo istante, pensò che fosse suo padre, che finalmente fosse tornato a prenderla, ma quando realizzò chi si trovava di fronte non poté fare a meno di sorridere.
“Andrey?” Era incredula, pensava non lo avrebbe visto mai più. Il giovane si avvicinò a lei “Non credevo mi riconoscessi.” Disse spettinandole i capelli color pece. Effettivamente era cambiato parecchio dall’ultima volta in cui lo aveva visto. In riformatorio doveva essersi allenato molto, a giudicare dal suo fisico possente. Si era rasato i capelli e aveva piercing sparsi per tutta la faccia, e un tatuaggio che sbucava dal collo della felpa arancione che indossava. Eppure Ivy avrebbe riconosciuto d’ovunque quel sorrisino beffardo.
“Sei evaso?” Chiese la ragazza ritrovando l’umorismo pungente che li accomunava. “No, sono uscito per buona condotta.” Andrey rise, stupito tanto quanto lei di quella affermazione. Le porse una sigaretta, come ai vecchi tempi, ma lei rifiutò. “Ah sei diventata una brava bambina adesso?” Ivy annuì senza riuscire a smettere di sorridere. Fin da quando erano piccoli, Andrey era stato l’unico a starle vicino, l’unico a non avere paura di lei. Avevano passato dei pomeriggi memorabili dando fuoco alle cassette postali dei vicini e catturando piccoli insetti per poi nasconderli negli zaini dei compagni, almeno finché lui non si era fatto arrestare per spaccio.
“Ho visto che ti sei fatta anche il fidanzatino Spratt.” Andrey cercò di farla sembrare una battuta, ma Ivy riuscì a cogliere una nota di disappunto nella sua voce. Proprio come pensava, ancora non aveva dimenticato quello stupido bacio. “Albert è un mio amico.” Rispose tranquillizzandolo. “La temibile Ivy Mentha ha degli amici? Mi sono perso un sacco di cose in questi anni.” “Evidentemente non sei l’unico ad essere cambiato.”
24 febbraio
Ivy incrociò lo sguardo di Andrey mentre veniva portato nella stanza degli interrogatori. Era rimasta lì apposta, solo per poterlo guardare negli occhi. In quel modo sperava di poter capire, di potersi dare pace. Ma quando lo vide non trovò nulla, se non amarezza.
Nella sua testa era impossibile accettare l’eventualità che fosse proprio lui l’assassino, ma dopo ciò che aveva provato a farle a capodanno, dopo la rapina, dopo tutto quello che lui aveva fatto, come poteva esserne certa? Doveva rendersi conto che quello non era più lo stesso Andrey che aveva accompagnato la sua infanzia: il carcere lo aveva cambiato, lo aveva fatto diventare un mostro, e lei gli aveva permesso di avvicinarsi al loro gruppo, di distruggere quella parentesi di serenità che era riuscita a crearsi con fatica.

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