-19. Brividi -

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19 ottobre
Ivy e Albert avevano osservato Ethel per tutta la settimana, la ragazza era tornata a scuola martedì ma sembrava non essere più la stessa, era diversa. Nonostante facesse ancora relativamente caldo, indossava sempre felpe larghe, maglioni o camice a maniche lunghe. Aveva iniziato ad evitare i vestiti aderenti e si presentava a scuola quasi sempre struccata. Non legava più i capelli, ma li lasciava ricadere sulle spalle come una massa informe di ricci poco curati e spenti. Tutti erano sempre stati abituati ad una Ethel impeccabile, perfetta, con nemmeno un ciuffo in disordine e vederla in quello stato era davvero bizzarro.
I suoi compagni si chiesero cosa potesse esserle successo, ma le risposte che si davano erano sempre superficiali. Alcuni pensavano le fosse andata male con un ragazzo, altri che fosse impazzita. I suoi amici più stretti erano molto preoccupati per lei: non la riconoscevano più. Non era mutato solo il suo aspetto, ma anche il suo carattere. Ethel solitamente amava uscire e passare il tempo in compagnia, ma nell'ultimo periodo, non si faceva più vedere in giro. A pranzo non era mai in mensa e non rispondeva nemmeno ai messaggi o alle chiamate. Albert sembrava essere ossessionato dal cambiamento e per quanto Ivy provasse a distrarlo, non riusciva a pensare ad altro.
Quella mattina Ivy entrò nell'aula di francese sperando di potersi sedere lontana da Francois ma, essendo arrivata leggermente in ritardo, dovette restare ancora una volta accanto a lui. Era dall'inizio dell'anno che quel ragazzo la tormentava, solo perché aveva smesso di essere invisibile ed era riuscita a trovare un amico. Dopo averlo fatto litigare con il suo gruppo, la situazione era ovviamente peggiorata, tanto che lui e Robert le avevano rovesciato una granita addosso durante il pranzo del giorno precedente. Avrebbe potuto dirlo ai professori, ma loro non le avrebbero dato ascolto e rispondere sul momento sarebbe stato poco intelligente. Preferiva aspettare qualche tempo, per organizzare qualcosa che tutti avrebbero ricordato per sempre.
"Spratt sei in ritardo." La riprese la Hollard vedendola entrare. Ivy la osservò schifata: la donna indossava una camicetta bianca, attraverso la quale era possibile vederle il reggiseno di pizzo nero, e una minigonna nera, che le stava decisamente troppo stretta. "Mi scusi, ho avuto un problema con l'armadietto." Rispose a denti stretti.
La lezione iniziò senza che nessuno vi prestasse particolare attenzione. Ivy fingeva di prendere appunti mentre, in realtà, scarabocchiava simboli alchemici. Francois, che fino a quel momento non le aveva dato troppo fastidio, iniziò a lanciare palline di carta bagnata nei capelli della ragazza seduta di fronte a loro. "Dai streghetta... lanciane una anche tu." Disse, indicandole la testa di Tamara. Ivy lo fissò scocciata, se fosse stato qualcun altro a proporglielo probabilmente lo avrebbe fatto, ma non voleva dare soddisfazione a quell'essere. Il ragazzo continuò ad insistere per un po', finché stancatosi dei suoi rifiuti non lanciò la pallina contro di lei, facendola finire nella sua maglietta.
Ivy rimase impietrita sentendo il piccolo oggetto bagnato che le scivolava nella scollatura. "Se vuoi posso recuperarla io." Propose Francois avvicinandosi a lei. Dopo un primo momento di esitazione, Ivy sollevò la mano e colpì sonoramente il volto del ragazzo che stava effettivamente per toccarla. Tutti si voltarono, compresa la professoressa che sembrava essersi appena svegliata da un sogno mistico. Si avvicinò a lei con sguardo severo e iniziò a rimproverarla, ricevendo in cambio solo un’alzata di spalle e un ghigno soddisfatto.
La signorina Hollard la afferrò per un braccio, facendola alzare e trascinandola fuori dalla classe. Ivy si sedette a terra iniziando a elaborare un modo per farla pagare a Francois e a quella stronza. Avrebbe voluto far esplodere la testa di Francois e bruciare viva la professoressa, oppure legarli entrambi a dei pali e colpirli a ritmo di musica con una mazza da baseball. Nel silenzio tombale del corridoio immaginava le varie possibilità ad occhi chiusi. Era macabro, anche crudele forse, ma quelle scene la facevano sorridere. Era stanca di subire così tante angherie, e il fatto di essere maltrattata addirittura dai professori, i quali avrebbero dovuto proteggerla, la faceva impazzire.
"Spratt che ci fai qui fuori?" I suoi sogni di gloria furono improvvisamente interrotti dalla voce di Helliot, il prof di ginnastica, un'altra persona che tollerava appena. Si alzò subito, vergognandosi un po' per essersi fatta trovare in quello stato, abbandonata a terra con le gambe ciondolanti e la testa all'indietro, appoggiata al muro come una vagabonda. "Buongiorno prof." Sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi falsi, sperando che almeno lui non la trattasse come un ammasso di spazzatura. "La Hollard mi ha buttata fuori dalla classe." Rispose senza battere ciglio.
"Che hai combinato?" L'uomo si avvicinò a lei e Ivy dovette alzare la testa, per continuare a guardarlo in faccia. Trovava spaventosa quella situazione, con tutto lo spazio che c'era intorno a loro non capiva perché dovesse starle così vicino. Fece finta di nulla e riassunse brevemente l'accaduto senza tralasciare nulla, voleva che almeno lui la aiutasse. Aveva notato come la guardava e forse questo avrebbe potuto giocare a suo favore. L’uomo le appoggiò una mano sulla spalla e la fissò negli occhi per alcuni secondi, il suo sguardo le risultava indecifrabile.
Iniziava a sentirsi a disagio, sperava che qualcuno uscisse da una classe qualsiasi per far sì che il professore si allontanasse da lei. Non diceva e non faceva nulla, la scrutava soltanto e nonostante lei cercasse di convincersi che non stesse succedendo niente di male, non riusciva a non provare paura. Lo stomaco le si contorceva e la gola le si era seccata completamente, mentre quel senso tremendo di inquietudine cresceva. "Tranquilla." Mormorò Helliot alzando una mano per sfiorarle delicatamente i capelli corvini. "Francois lo sistemo io e per la Hollard...non dovrei dirlo, ma la sua macchina è quella rossa con l'orsacchiotto sul cruscotto." Le accarezzò la schiena, passandole fugacemente l’altra mano sul fianco. I loro volti erano spaventosamente vicini ed Ivy era talmente agitata da non riuscire quasi a respirare. Il suo corpo era attanagliato da brividi freddi e non vedeva l'ora che quella situazione cessasse.
"Ci vediamo lunedì in palestra." Continuò l'uomo con tono suadente e dopo aver dato un ultimo evidente sguardo alla sua scollatura, si allontanò con il suo solito passo sicuro da fotomodello. Ivy rimase lì impalata, confusa da quanto era appena accaduto e da ciò che il professore le aveva detto. La campanella suonò e tutti gli alunni si riversarono nel corridoio, mentre lei ancora non riusciva a muoversi di lì. Vide la Hollard uscire dalla classe e passarle in fianco, senza salutarla, e ripensò a quello che aveva detto Helliot, anche se bucarle le ruote dell'auto le sembrava decisamente troppo banale.
Anche Francois le passò vicino, ma lui non la ignorò. Al contrario le avvolse un braccio attorno alle spalle e la obbligò a camminare con lui verso la mensa. "La mia proposta è ancora valida." I suoi amici le stavano attorno spingendola contro di lui. "Grazie ho già fatto da sola." Prese quella maledetta pallina di carta dalla tasca e gliela consegnò. Il ragazzo la annusò estasiato per poi passarla ai suoi compagni. "Siete veramente disgustosi."
6 marzo
Mentre cantava, Ivy osservava il volto rapito di Francois, ancora indecisa se credere che ciò che stava accadendo tra loro fosse reale o meno. Entrambi sembravano essere persone completamente diverse da quelle che si punzecchiavano e insultavano appena qualche mese prima. Forse era stata tutta quella storia a farli crescere, oppure erano sempre stati così, ma non avevano mai avuto il coraggio di dimostrarselo.
Magari, se fossero stati sinceri con loro stessi fin dall’inizio, si sarebbero potuti risparmiare anni di cattiverie reciproche. Gli rivolse un timido sorriso, mentre pronunciava le ultime, struggenti, parole di quella magnifica canzone. Ma prima di potersi godere il suo sguardo di approvazione, i suoi occhi vennero catturati da un’altra persona.
Tra i professori, un uomo la guardava nel modo più inquietante che Ivy potesse immaginare. Una scarica di brividi freddi le attraversò la spina dorsale, spingendola a lasciare d’improvviso il microfono. Un fischio acuto e insopportabile invase la sala, e lui capì.
Il professor Helliot, che fino a quel momento si era coperto il viso con un fazzoletto, nel goffo tentativo di nascondere la commozione, la guardò confuso e visibilmente preoccupato, come tutti in quella palestra. Tutti eccetto uno.
Accanto al docente di educazione fisica, infatti, sedeva il professor Clive. La sua consueta espressione da beone impacciato era scomparsa, lasciando spazio ad un ghigno inquietante e beffardo. Il corpo di Ivy tremò da capo a piedi, sotto il tocco gelido di quegli occhi piccoli e colmi di cinismo. Tutto attorno a lei sembrò congelarsi, mentre la sua mente riuniva tutti i pezzi di quel orrido puzzle. Era lui il verme che aveva fatto marcire la loro piccola comunità, divorandola lentamente dall’interno, lui il responsabile di tutte le tragedie che li avevano investiti. Il timido e impacciato professore di musica aveva distrutto le vite di quei ragazzi, una ad una, senza che nessuno si rendesse conto di nulla. Lei si era concentrata su Helliot, credendo che fosse lui quello di cui aver paura, senza riuscire a vedere quale fosse la vera minaccia.
Ivy rivide nitidamente nella sua mente tutti i momenti in cui avrebbe potuto capire la gravità della situazione. A partire dalla sua presentazione a settembre, quando non aveva dato alcuna spiegazione sul perché avesse abbandonato l’orchestra. “Chissà a chi ha fatto del male.” Pensò Ivy mentre abbandonava la stanza, sentendo l’aria che aveva nei polmoni diventare sempre più pesante.
Camminando in modo confuso ripensò a quando Ethel aveva rifiutato l’invito di Albert a studiare con loro “Il professor Clive mi dà ripetizioni di solfeggio.” Aveva detto quel giorno. Ed era stata quella l’ultima volta in cui avevano visto la vera Ethel.  Come aveva fatto a non collegare lo stato della ragazza a quell’’informazione? Come aveva potuto essere così cieca?
Aprì la porta d’emergenza, il calore del Sole la investì, dandole un po’ di sollievo. Corse all’esterno, lasciando che il vento primaverile le accarezzasse le guance e le scompigliasse i capelli. Trovava intollerabile il contrasto tra la serenità di quella mattinata di marzo e il temporale che si stava abbattendo sulle sue viscere.
Udì dei passi ansiosi dietro di lei, si voltò e vide Francois, il quale cercava una risposta nei suoi occhi color pioggia. “Ho capito.” Sussurrò, sperando che lui la sentisse in qualche modo. Dietro al ragazzo sopraggiunse Clive, il quale aveva indossato nuovamente la sua maschera da ingenuo e imbranato professore di quartiere. “Ivy ti senti bene? Siamo tutti preoccupati per te.” Provò ad avvicinarsi a lei, ma la ragazza si ritrasse, rifugiandosi tra le braccia rassicuranti di Francois.
“Se vuoi puoi venire ad esercitarti nel mio ufficio dopo scuola.” Quelle parole rimbombavano prepotentemente nella sua testa, coprendo il rumore di tutti i pensieri che la affollavano. La nausea la pervase, quando capì quanto fosse stata vicina all’orlo del baratro in cui Ethel era caduta. A salvarla erano state la sua timidezza e la sua pigrizia. “È lui.” Bisbigliò mentre egli continuava ad avanzare verso di loro. Francois la strinse ancor più di prima e la allontanò dall’uomo. “Ci lasci, di Ivy mi occupo io.” Affermò risoluto.
“Io voglio capire cosa le è successo.” Rispose il professore, improvvisamente autoritario e sicuro di sé, appoggiando una mano viscida sulla spalla di Ivy. Lei urlò, attirando l’attenzione di tutti coloro che, incuriositi dalla situazione, si stavano riversando nel campo di atletica.
“Le ho detto di lasciarci in pace.” Francois si staccò da lei e avanzò minaccioso, costringendo Clive ad indietreggiare. Ivy approfittò della situazione e si diresse dai suoi amici, i quali ancora non avevano compreso cosa stesse succedendo. Prese Rebecca sotto braccio “Chiama la polizia…” disse “…è lui.” Mentre sussurrava, Clive si voltò e la fissò, come se avesse udito le sue parole. Le fece un ampio sorriso, forse nel tentativo di apparire più innocuo ai suoi occhi, ma quell’uomo ormai le dava solo i brividi.

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