Capitolo 8

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Kaeya's POV

Il tempo, composto da ore, giorni, mesi ed anni è un'invenzione dell'uomo, creata per facilitare la vita. Ma la percezione di questo tempo è relativa, diversa per ogni persona, differente a seconda delle emozioni che si stanno provando. Questa stessa percezione però a volte può risultare ingarbugliata, perché le emozioni che stai provando sono forti e diverse tra loro. Uno stesso momento può durare un attimo, perché atteso, anche senza saperlo, ma anche un'eternità, perché ti toglie il fiato, ti coglie di sorpresa e ti fa pensare di voler rimanere per sempre in quell'istante.

Quest'abbraccio è uno di quei momenti. Sono bombardato da piccole cose di Diluc che non avevo notato: le spalle più robuste di quanto sembrino, i capelli soffici, l'aroma di caffè. Eppure il tempo in cui mi trovo tra le sue braccia sembra non essere abbastanza per afferrarle tutte come vorrei, non permettendomi di annegare nel suo calore confortevole.

Non so esattamente per quanto rimaniamo tra le braccia l'uno dell'altro, nel mezzo del negozio, senza notare nulla di quello che abbiamo intorno. Ma proprio come succede quando Diluc finisce di suonare, appena ci stacchiamo torno a sentire i rumori del mondo, la sua caoticità.

Pochi attimi dopo siamo sulla strada per il conservatorio, in silenzio, e senza che io mi accorga dello scorrere del tempo o delle mie gambe che si muovono, in un battito di ciglia ci ritroviamo nella nostra stanza segreta.

Iniziamo a mangiare i panini che Diluc ha preso all'alimentare e solo in quel momento alzo lo sguardo e lo rivolgo verso gli occhi color rubino che mi trovo davanti. Una volta incontrati non riesco a fermarmi e dal nulla inizio a parlare.

Gli racconto tutto quello che c'è da sapere su di me, della mia infanzia, di mio fratello, di come io avessi inizialmente scelto una facoltà scientifica, in un ultimo disperato tentativo di rendere fieri i miei genitori, che come sempre non mi avevano degnato nemmeno di uno sguardo, di come aver sentito per strada un uomo suonare la chitarra, mettendoci tutto se stesso, mi avesse fatto appassionare alla musica e infine di come la band che avevo con tanta fatica trovato mi avesse cacciato come se fosse la cosa più naturale e semplice da fare, come se il mio lavoro non fosse servito a nulla, come se non valessi niente.

Non mi sono mai messo così a nudo davanti ad un'altra persona che non fosse Axel. È stato come se fossi tornato quel bambino che piangeva perché si sentiva diverso, senza genitori, quell'adolescente dilaniato dal non sentirsi abbastanza ma che sentiva di dover fare il massimo per ripagare suo fratello.

Tutti sanno che è difficile togliersi una maschera, che si è pian piano costruita nel tempo, ma nessuno parla mai di come sia difficile rimetterla poi quella stessa maschera, perché anche se il volto che si cela sotto di essa è sfregiato o orribile, non essere se stressi fa male.

Dopo il mio racconto Diluc allunga una mano, e stringe una delle mie, dandomi un poco del calore che avevo sentito durante l'abbraccio. Lui è qui.

Anche sapendo tutto di me è rimasto.

Mi sento pervadere da uno strano sentimento, mi sento euforico, ma allo stesso tempo vorrei piangere fino a non poter più aprire gli occhi.

"Vieni a cena a casa mia. Voglio che tu conosca mio fratello." gli chiedo, quasi supplicando. L'unica cosa di cui ho bisogno adesso è abbracciare Axel, ma non voglio che Diluc se ne vada.

Lui annuisce. Un lieve movimento del capo che solleva un macigno dal mio petto.

"Fammi solo avvisare casa che non torno a cena." è l'unica cosa che dice prima di uscire dalla stanza. Anch'io non perdo tempo e chiamo mio fratello

"Pronto, Axel."

"Kae! È tutto il giorno che non ti sento! Non è successo nulla vero?"

"A dire il vero è stata una giornata intensa. Ma non preoccuparti, sto per tornare a casa. Spero non sia un problema se ho inviato Diluc a cenare da noi."

Symphony of love~A Luckae storyWhere stories live. Discover now