29. sei felice?

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La musica si fermò e Minho con lei. Era accasciato sul pavimento, una macchia di colore in mezzo alla notte più buia, e per un momento l'unico suono che riusciva a percepire erano i suoi respiri pesanti e veloci e i battiti forsennati del suo cuore. Poi le luci si accesero e sentì qualcosa raggiungere le sue orecchie. Aggrottò le sopracciglia e, lentamente, il rumore degli applausi si fece più forte, reale. Con le gambe che tremavano si alzò e non poté credere ai propri occhi: di fronte a lui l'intera platea era in piedi e stava applaudendo; c'erano persone che piangevano, altre che sorridevano felici come non mai. È grazie a me?, si chiese e sentì le lacrime accarezzargli le guance.

Vide Felix, issato sulle spalle di Chan, che teneva in mano un nuovo cartellone: Ci hai fatti sognare (e piangere). Si portò le mani sul viso e si inchinò, ancora incredulo, dicendo tra i singhiozzi: «Grazie, grazie, grazie», sebbene fosse consapevole che non potessero sentirlo in mezzo a quella confusione. Sempre circondato dal rumore degli applausi – che si erano addirittura intensificati – camminò verso l'uscita del palco, dove ad aspettarlo c'era Jimin, anche lui in lacrime, con le braccia aperte. Minho vi si tuffò. «Grazie... grazie per non aver smesso di credere in me!» esclamò.

Jimin lo strinse forte contro il proprio petto. «Lo farò sempre» gli promise.

Mentre raggiungevano il camerino, Minho e Jimin furono fermati dagli altri ballerini. Questa volta, però, l'attenzione non fu rivolta al maggiore, ma a Minho, che riempivano di complimenti a cui non sapeva come rispondere se non con un imbarazzato: «Grazie.»

Una volta dentro al camerino, Minho si lasciò cadere sul divano. «Sta succedendo davvero?» domandò, ancora incredulo.

Jimin rise. Lo raggiunse e gli passò una bevanda energetica. «Sì, Minho, e ti meriti tutto questo» lo rassicurò, poi gli diede un pizzicotto sul braccio. «Vedi? Non è un sogno.»

Minho appoggiò la testa al muro. «Wow. Non riesco a crederci» mormorò. «Sono stato davvero così bravo?»

«Penso sia la miglior esibizione che tu abbia mai fatto. La prima di tante altre, se continui ad impegnarti così.» Jimin sorrise. «Chissà, magari un giorno mi rimpiazzerai.»

Minho scoppiò a ridere. «Non credo di poter diventare bravo quanto te» replicò. «E poi tu alla mia età avevi già ballato un paio di volte in Giappone.»

«Non conta l'età, Minho. Prima di salire in alto devi vivere il momento

Minho aggrottò le sopracciglia. «Cosa intendi dire?» gli domandò, curioso.

«Fare un'esibizione che ti cambierà la vita ma, soprattutto, che cambierà te stesso. Il tuo punto di partenza a livello personale e della carriera» spiegò Jimin. «Il momento in cui inizi a crescere, artisticamente parlando, e ti liberi di ogni catena che ti impedisce di muoverti liberamente; quando, per la prima volta nella tua vita, ti senti unico padrone del tuo corpo.»

Minho sgranò gli occhi, ricordando la consapevolezza che l'aveva raggiunto non appena aveva messo piede sul palco, il momento in cui gli sembrava di conoscere ogni singola cellula del suo corpo – le sentiva lavorare incessantemente dentro di lui. Ricordò la sensazione di calore al petto che non l'aveva abbandonato mentre, nell'attimo di silenzio tra il posizionamento e la partenza della base, pensava ai suoi amici, a Jimin, a Jisung e al ragazzo-scoiatolo. E poi la standing ovation.

Jimin appoggiò una mano sulla sua spalla. «Vediamo se i giudici e chi stava guardando – e non parlo del pubblico – saranno d'accordo» disse, come se fosse consapevole dei pensieri che passavano per la testa al suo allievo, e lanciò un'occhiata all'orologio appeso sopra la porta. «Credo che lo scopriremo presto.»

ikigai - minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora