35. non è colpa tua

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La stanza era piombata nel silenzio dopo la confessione di Jisung. Lui stesso non aveva capito perché aveva parlato, perché aveva spiattellato in faccia a Minho il trauma che suo padre lo aveva costretto a vivere così, su due piedi, da un giorno all'altro. Ma sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere. Non avrebbe potuto tenerglielo nascosto per sempre: un giorno sarebbe stato male e avrebbe avuto bisogno della forza di Minho per rimanere in piedi e non crollare.

Non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo sul viso di Minho. Temeva di leggere nei suoi occhi qualcosa che lo avrebbe spezzato. Ripensare al padre, al giorno in cui l'aveva umiliato e abbandonato senza una ragione, aveva aperto nel suo petto un buco nero che stava iniziando ad assorbire il momento di tranquillità e felicità pura che aveva appena vissuto, sdraiato sul letto a ridere stretto fra le braccia della persona che amava. Sentiva la rabbia e la tristezza rubargli tutto quello per cui aveva combattuto in quei giorni, fargli dimenticare le cose che aveva imparato in otto anni di sedute dalla psicologa.

«Non è colpa tua» sussurrò Minho, così piano che Jisung fece fatica a sentirlo. «Non è colpa tua» ripeté, poi il silenzio.

Jisung rimase immobile, sdraiato sul letto. Non è colpa tua. Erano le prime parole che la sua psicologa aveva detto a lui, dodicenne, che piangeva perché non voleva in alcun modo essere lì. Ricordava come quella semplice frase avesse fermato il tempo e le sue lacrime, lasciandolo sorpreso, lo sguardo fisso sul volto della psicologa, i cui occhi scuri gli trasmettevano una certa sicurezza – come se quelle parole, "non è colpa tua", fossero vere. Aveva chiesto perché. «Non possiamo decidere quando una persona deve andarsene dalla nostra vita» gli era stato risposto; perché gli esseri umani avevano questa cosa chiamata "scelta" – aveva continuato –, anche lui ce l'aveva e la usava: quando decideva di mangiare un cioccolatino oppure di fare le storie perché non voleva andare a dormire. E nessuno, gli era stato spiegato, poteva scegliere per qualcun altro; così, quando una persona se ne andava, era perché lo aveva voluto: nessuno sceglieva al posto suo, magari qualcuno nemmeno voleva che se ne andasse, eppure lei lo faceva.

Non è colpa tua. Adesso era stato Minho a pronunciare questa frase, la voce calma, da cui non traspariva altro che la certezza che non fosse stata colpa di Jisung – se suo padre se n'era andato, se l'aveva abbandonato. Non era colpa sua se non riusciva a ricucire quella ferita che si faceva sempre più grande dentro al suo petto. Non era colpa sua se era spezzato, se era distrutto. Non era colpa sua se era se stesso, anche se questo significava essere una vaso rotto, solo in una stanza buia dove non arrivava alcuna luce.

Calde lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso deformato dalla tristezza. Si portò le mani sulle guance, cercando invano di fermarle perché odiava piangere di fronte a qualcun'altro, mostrarsi così debole. Le braccia di Minho lo avvolsero e sentì le sue labbra posarsi fra i suoi capelli per lasciargli un piccolo bacio.

«Va tutto bene, Ji» sussurrò il maggiore cominciando a cullarlo in quell'abbraccio che, in qualche modo, sapeva di casa. «Ci sono io qui con te adesso. Sarò io il tuo scoglio.»

Jisung non sapeva come ma quelle parole, così semplici, riuscirono a riscaldare il suo petto, iniziando a chiudere, lentamente, il buco nero che si era aperto dentro di lui, a cancellare l'ultima frase che aveva sentito uscire dalle labbra di suo padre, davanti alla porta di casa sua; lui, così piccolo, di fronte a quell'uomo che guardava andarsene per sempre dalla sua vita, come se non fosse abbastanza importante per farlo restare.

Però sua madre era rimasta, così come Changbin, Felix e gli amici che aveva incontrato nel corso della sua vita. Minho era lì, lo aveva aspettato e ora lo stava abbracciando come se fosse la cosa più importante del mondo, come se non volesse farlo sentire solo, come se volesse ancorarlo lì, nel letto, fra le sue braccia, per non farlo scappare un'altra volta. Jisung sorrise fra le lacrime. Come avrebbe potuto andarsene quando quello era il posto che aveva cercato per anni?

ikigai - minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora