Chi diavolo sei, Jamie Callighan?

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La prima cosa che mi colpì appena aprii gli occhi fu la luce fuori dalla finestra: un fascio luminoso accendeva il cielo di un azzurro intenso.
Avevo dormito poco, ma il paesaggio che mi si parò davanti quando mi affacciai al balcone, mi cambiò l'umore grigio.
I rami degli abeti erano appesantiti dalla neve caduta nella notte, fiocchi cristallizzati rilucevano sotto i raggi del sole come piccole pietre preziose.
Il gorgoglìo dell'acqua del fiume spezzava un silenzio intenso e ovattato. Non era lo stesso suono delle onde che si infrangevano sulle scogliere in Irlanda, ma mi intiepidì comunque il cuore.

Finn si era preoccupato di farmi trovare la colazione pronta sul bancone della cucina.
Mi venne il sospetto che avesse fatto rifornimento in qualche negozio online specializzato quando trovai in frigo del buttermilk.
La notte era stata inquieta ed ero a corto di energie, ma avevo voglia di uscire e godermi l'aria frizzante del mattino, così buttai giù di fretta un cucchiaio di cereali con del succo d'arancia e mi preparai alla neve.

Calai sulla fronte il cappello di lana che mamma mi aveva regalato per Natale un paio di inverni prima, annodai la sciarpa al collo e sistemai i lunghi ciuffi di capelli ramati sul petto.
Aprii la porta con l'entusiasmo di una bambina, scesi gli scalini di legno della piccola veranda e mi mossi sul vialetto.
Percepii l'immediata mancanza di equilibrio.
Annaspai, aprendo le braccia, la lastra di ghiaccio su cui avevo messo i piedi mi fece slittare su me stessa.
Ero sul punto di cadere quando una ferrea presa mi rimise dritta in piedi.
Sbattei su qualcosa di rigido e fermo.
Alzai lo sguardo e mi ammutolii.

Jamie mi stava fissando con un'espressione indecifrabile, un lembo del mio maglione era stretto e stropicciato tra le dita lunghe e sottili.
«Cerca di fare attenzione a dove metti i piedi» latrò, guardando un punto indefinito di fronte a sé.
Era indisponente e risoluto, uno di quei ragazzi a cui piaceva avere ragione su ogni cosa e che amava profondamente mettere le persone a disagio.
«Sarei riuscita a cavarmela da sola» replicai.
Lui mi puntò dall'alto in basso, con le ciglia lunghe che gli adombravano lo sguardo.
«Allora prosegui pure» disse, glaciale. «Rompiti l'osso del collo.»
Mollò la presa senza esitazione, si scostò di lato e si avviò verso il pick up parcheggiato nel piazzale.
«Ehi!» gridai, tornando a lottare con la gravità.
Un solo movimento brusco e mi sarei sfracellata a terra.
Ma lui non si voltò, e neppure si fermò.
«Ehi!» chiamai di nuovo. «Finn ha detto che devi accompagnarmi a scuola!»
Si sedette comodamente sul sedile del guidatore, abbassò il finestrino e si sporse in avanti.
«Ehi...» cantilenò. «Finn è tuo padre, non il mio.»
Presa da un moto di stizza caddi a terra, il tonfo sordo riempì il silenzio attorno a noi e un grido soffocato mi uscì dalla bocca.
Jamie non mostrò la minima preoccupazione, un sorriso soddisfatto gli deformò le labbra, poi ingranò la prima e partì, lasciandomi sola sull'ingresso di casa.

Il sole scioglieva la neve lungo la strada e io non avevo la scarpe adatte. Persino il mio giaccone, temprato per il vento irlandese, non reggeva al gelo di Jackson Hole.
Mi maledii per aver dimenticato per un lasso di tempo piuttosto lungo la convivenza impossibile che mi attendeva con Jamie Callighan.
Non mi voleva lì.
Era chiaro.
Solo che era lui quello nel posto sbagliato, non io.
"Finn è tuo padre, non il mio." Aveva detto con una certa soddisfazione. Come se il mancato vincolo di sangue che li divideva fosse un giusto deterrente per non prendere in considerazione le sue richieste.
Il primo pensiero che mi era balenato nella testa di fronte alla sua palese ostilità, era stato che, in un certo modo, potesse essere indisposto da me perché avrei potuto portargli via la considerazione di Finn. Ma a quanto pareva, non era così.
Eppure papà lo aveva accolto in casa sua, se ne era preso carico malgrado Jamie avesse l'età per decidere cosa fare della sua vita. E in parte, se lo era cresciuto. Non conoscevo ancora i dettagli, ma ricordavo bene il rapporto che li legava.

Finn aveva persino allestito una stanza per lui già allora, quando era un bambino. Ricordo che da un'estate all'altra avevo trovato le pareti tinteggiate, un comò recuperato al mercatino dell'usato e un letto con riccioli lavorati a mano e foglie intarsiate di ferro battuto sulla testata.
Non sapevo precisamente quanto tempo avessero condiviso insieme, né quali momenti, l'unica cosa di cui avevo certezza era che Grace tendeva ad accollare a Finn compiti che non gli spettavano.
Jamie cenava spesso con noi, si muoveva nelle stanze di casa non come un'ospite e malgrado all'epoca avessi pensato che fosse un caso trovarlo lì a ogni arrivo in Wyoming, in quel momento, mi passò per la testa che la sua presenza fosse in realtà assidua.

Smisi di fare congetture quando varcai l'enorme cancello della scuola.
Mi fermai di fronte all'ingresso e fissai il corridoio oltre la vetrata. Era ghermito di studenti, facce sconosciute affollarono il mio sguardo. Sentii le gambe impiantate a terra, un senso di nausea contorcermi lo stomaco e fui sul punto di tornare indietro nonostante la fatica che avevo fatto per arrivare.
Non era mai successo prima della morte di mamma, ero sempre stata piuttosto socievole, almeno quel che era necessario per la piccola città da cui venivo.
Dopo l'incidente, però, qualcosa era cambiato.

Non ero più sicura di me stessa, mi sentivo diversa, marchiata a fuoco nel corpo e nell'animo. Provavo un senso di vergogna lancinante tutte le volte che occhi sconosciuti si posavano su di me, come se potessero leggermi dentro.
Mi sentivo colpevole, capace di fare del male alle persone che in un modo o nell'altro si legavano a me, per questo il mio intento era di frequentare le lezioni senza suscitare il minimo interesse.
L'anonimato doveva essere una parola d'ordine.
"Non fare clamore, Bride. E nessuno di accorgerà di te." Pensai, entrando.

Non mi resi conto del suo arrivo, fu inaspettato e improvviso.
Jamie sarebbe dovuto essere lì già da un pezzo.
Un'ombra ingombrante mi ricoprì da dietro e un istante dopo me lo ritrovai davanti che procedeva sciolto e sicuro.
Mi tenni un passo dietro, gli occhi puntati sulla sua schiena, la vita stretta era fasciata da un maglione di lana. Era completamente vestito di nero, con un paio di pantaloni stretti abbastanza, da riuscire a immaginare le lunghe gambe dai muscoli delineati.
Il brusio attorno si affievolì e tornai senza alcuno scampo nella morsa delle mie più inquietanti ansie.

L'anonimato a cui bramavo si spense definitivamente quando notai l'attenzione di tutti concentrarsi sul corridoio.
Il lunghi capelli rossi non furono d'aiuto.
Ogni cosa nel mio aspetto gridava: straniera.
I colori che portavo addosso risaltavano indiscutibilmente.
Avrei dovuto prevedere che il viso tempestato di lentiggini, gli occhi di un verde acceso e il corpo longilineo non mi sarebbero stati d'aiuto.
Il dolore arrivò in sordina, una fitta mi attraversò il petto e il respiro mi si mozzò in gola.
Volevo fermarmi, tornare indietro, fuori, all'aria aperta, ma come un automa continuai a camminare, ostentando calma.

L'opprimente turbine di pensieri si arrestò quando Jamie deviò la traiettoria. Diresse passi pesanti verso la fila di armadietti e si fermò di fronte a una ragazza che aveva tutta l'aria di essere al primo anno.
Una chioma castana le ricadeva sulle spalle e un paio di occhiali pendeva sul ponte del naso.
Jamie sfilò le mani dalle tasche dei pantaloni, si piegò in avanti, poggiò l'avambraccio sull'anta chiusa dell'armadietto e chinò il capo.
Ciuffi di capelli scuri sfiorarono la fronte della ragazza.

Intrappolata sotto di lui, ansimò.
"Cancellala" l'ammonì autoritario.
Era intimorita dall'aggressiva mossa con cui le si era avvicinato, spostai lo sguardo sul telefono che stringeva nella mano.
Il silenzio si fece largo tra gli studenti.
"Ho detto" scandì di nuovo Jamie, con voce ipnotica. "Cancellala."
Lei non si mosse, nessuno nel raggio di cinque metri lo fece.
Le tremò il polso quando le posò le dita sulla mano e le sottrasse lentamente il telefono.
Il display gli illuminò il viso pallido per qualche istante, poi si rimise in piedi e lo porse di nuovo alla ragazza ammutolita.
"Non mi piace farmi fotagrafare" le disse, fissandola. "Non farlo mai più."
Fece un passo indietro, si voltò e riprese a camminare.
Ogni sguardo presente nell'enorme stanza si posò su di lui, calamitato dai movimenti fluidi dell'andatura. Svoltò l'angolo in fondo e sparì dalla mia vista.

Non seppi dirmi cosa fosse appena successo.
Un nuovo brusio riempì l'ambiente e nessuno sembrò interessato alla mia presenza.
Mi resi conto che la sensazione di attenzione che avevo provato varcando la soglia era svanita.
Stavano fissando lui, non me.
Rilassai i muscoli, mi diressi verso la segretaria e non potei fare a meno di chiedermi chi diavolo fosse Jamie Callighan.

The Untouchable LoveWhere stories live. Discover now