Immagini di te

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Il campanello sull'ingresso tintinnò e mi accomodai nella sala d'attesa. Dai festosi mugolii che provenivano oltre la parete di legno, dedussi che Finn fosse impegnato in una visita.
"Una settimana e ti aspetto per rimuovere i punti, Lucky." Riconobbi la sua voce quando aprì la porta.
Un enorme cane gli scodinzolò attorno, mettendo a dura prova il controllo del guinzaglio che il padrone teneva stretto con entrambe le mani.
"Fuori un cucciolo e dentro un'altra" azzardò Finn, appena fummo soli.
Sentirmi chiamare cucciola mi scosse, poteva sembrare una parola come un'altra, ma non era quello il caso.
Io e Finn ci eravamo sempre amati, ma qualcosa tra noi, a un certo punto, era andato storto.
Non ero più abituata alle sue manifestazioni di affetto, e la breve frase che mi aveva rivolto, in un certo senso la era.

"Pranziamo assieme?" Lo guardai sottecchi per spezzare l'imbarazzo.
"Il tempo di togliere il camice e sono tutto tuo." Slacciò il primo bottone e sparì di nuovo.
Lo immaginai muoversi frettolosamente, preso dalla paura cambiassi idea nel breve lasso di tempo in cui si stava assentando.
Gather era lo stesso locale che ricordavo, con l'enorme bancone in fondo alla sala allungata e tavoli rotondi con sedie di legno.
Fu come fare un passo indietro, nel passato.
Solo che mio padre non era più così alto e immenso come nelle immagini di lui che custodivo.
Era solo un uomo.
Con i segni del tempo addosso e inquietudini che come tutti, nascondeva.
Lo guardai.
C'erano cose che erano rimaste le stesse: la sua gentilezza e il sentimento protettivo che possedeva verso ciò che amava.

La domanda mi uscì dalle labbra senza che potessi impedirlo.
"Perché te ne sei andato?"
Lui sembrò scosso da tanta schiettezza.
Ero andata dritta al punto, mi sforzavo di sciogliere il nodo che ci aveva portato a sentirci così distanti nonostante fossimo uno di fronte all'altra.
"E tu perché non sei più tornata?" La voce con cui me lo chiese assomigliò a un sussurro.
Il mondo stava girando attorno a noi.
Un bambino tirò la giacca della madre, implorandola di comprargli le caramelle gommose accanto alla cassa.
Una cameriera annotò l'ordine del tavolo accanto.
Un dipendente uscì dalla cucina con un piatto pronto da servire.
La confusione era ovunque, eppure a me sembrava che lì dentro ci fossimo solo noi.
Due vite in sospeso, colme di dubbi e rancori che ci avrebbero accompagnati per molto tempo.

"Ero stanca di sentire la tua mancanza." Dispiegai il tovagliolo sulle ginocchia, non volevo intravedesse il luccichio nello sguardo.
"Ti abbiamo aspettata a lungo. Ogni estate, dopo l'ultima." Finn allungò la mano per stringere la mia.
Quel "ti" mi confuse, e lui lo notò.
"Io e Jamie" chiarì.
Lui e Jamie.
Lui e Jamie mi avevano aspettata a lungo.
Ogni estate, dopo l'ultima.
Le sue parole mi punsero come gli aghi irti di un cespuglio di rovi che non ti aspetti di trovare in mezzo all'erba alta.
Il Jamie elusivo e ostile che mi aveva accolto nel peggiore dei modi, mi aveva atteso per tutti quegli anni.

"Perché non ha seguito sua madre?" L'argomento si spostò lì, nel punto, per me, più incomprensibile e nebbioso.
Se mamma fosse stata ancora viva, in mezzo a miliardi di persone, io non avrei speso un solo attimo senza di lei. Ma Jamie aveva accettato di perderla e il motivo mi era ancora oscuro.
"Dovresti chiederlo a lui" disse Finn, aprendo il menù.
"Allora..." Inspirò profondamente. "Ti va di andare a fare compere dopo pranzo?"
"Non devi tornare al lavoro?"
"La cosa bella di avere un'attività è il poter gestire in autonomia gli orari." Rise.
La tensione calò, mi chiese come era andato il primo giorno di scuola, decisi di non menzionare la difficoltà con cui l'avevo raggiunta a causa del mancato passaggio che lui stesso aveva programmato.

Mi portò in un negozio di abbigliamento, mi spinse nel camerino con entusiasmo e fu un sollievo non trovare uno specchio all'interno.
Vedere il mio corpo nudo nel riflesso avrebbe risvegliato il dolore.
Era solo assopito, ma sempre presente.
Scacciai in fretta quei pensieri.
Volevo provare a essere una ragazza normale almeno per un giorno.
Dopo aver provato sotto lo sguardo attento di Finn una serie infinita di giacche pesanti, sciarpe, cappelli e guanti di lana, uscii carica di borse.
I suoi "questo no" e "questo è perfetto" mi misero di buon umore. Studiare la sua espressione indecisa, con il dito sotto il mento e la faccia corrucciata fu un buon esercizio di confidenza.
Passeggiammo per Jackson Hole sotto un tiepido sole, il bianco della neve era meno presente in centro città. Ne sentii mancare la lucentezza.
Le strade erano pulite e le insegne dei locali riempivano gli occhi di colori accesi.

The Untouchable LoveWhere stories live. Discover now