Ero io

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Non avevo alcun interesse nello scoprire che cosa amasse fare Dracula di notte.
Nell'immaginario comune era un principe oscuro appassionato di morti sanguinose e lente, ma le parole di Jamie suscitarono in me un diverso tipo di sensazioni.
Ne fui scossa.
Seduta sul divano, con la mano aperta sul petto, mi ripetei mille volte, e mille altre ancora, che Jamie Callighan non era un mio problema.
Non doveva esserlo.
Eppure, il dolore che mi aveva fatto abbandonare il letto per scendere di sotto, era sparito.
Le mie ossa erano le stesse, rotte e risanate negli stessi punti, ma la sensazione di compressione con cui convivevo da mesi, aveva preso a comparire in modo meno frequente da quando ero arrivata a Jackson Hole. Come se qualcosa nell'aria avesse allentato la sua morsa opprimente.

Non riuscii più a prendere sonno. E rimasi così turbata dal ricordo di Jamie riaffiorato in me così nitidamente e dall'incontro notturno con lui, che uscii di casa prima che Finn si svegliasse.
Arrivai a scuola presto.
Trovai Kat ferma di fronte alla bacheca d'istituto intenta ad appendere un volantino.
"Corso di teatro?" dissi sorpresa.
"Non dirmi che pensavi di avermi già inquadrata senza darmi neppure il tempo di mostrarti le mie doti nascoste." Indossava un maglione giallo con ricamato un enorme fiocco di neve.
"Aspiri alla recitazione?"
"Non mi piace stare sul palco, preferisco stare dietro le quinte. Disegno le scenografie." rispose, sistemando l'ultima puntina all'angolo del foglio.
"E dovresti pensare seriamente di iscriverti anche tu, i corsi extracurriculari sono obbligatori per i ragazzi dell'ultimo anno."

"Io non amo il palco, né davanti, né dietro le quinte." Il solo pensiero di avere una platea  di persone a cui dover rendere conto mi fece rabbrividire.
"Allora buona fortuna." Indicò gli annunci con gesto frettoloso della mano. Si avviò nel corridoio, poi si voltò. "E ricordati che questo weekend hai un impegno con me!"
Pensai che anche lei mi avesse inquadrata senza darmi il tempo di mostrarle quanto fossi poco adatta alla vita sociale.
Studiai la bacheca con attenzione, avevo la sensazione che non avrei trovato nulla di interessante, ma la scritta in stampatello che spuntava da sotto l'annuncio del corso di disegno mi catturò.

Corso di fotografia con concorso di fine anno.

Fu come scovare una lucciola nelle prime notti di maggio. Una luce fugace nell'oscurità che mi avrebbe salvato da sale di musica o lezioni di cinema contemporaneo.
Appuntai l'aula e la raggiunsi con l'intenzione di dare una buona impressione.
Con mia grande sorpresa trovai il professor Milton ad attendermi.
"Signorina Murphy" disse, appena mi vide comparire sulla porta. "È in piacere incontrarla di nuovo!"
A vederlo da vicino, scoprii che era alquanto giovane, una lieve barba gli contornava il mento.
L'abbigliamento informale mi mise a mio agio, niente giacca e camicia, solo un paio di pantaloni color ocra e un maglione chiaro a collo alto.
"Cosa la porta in questa ala della scuola?" Si decise a chiedermi di fronte al mio imbarazzante silenzio.

"Il corso" balbettai. "Ho letto l'annuncio del corso di fotografia. Sono qui per l'iscrizione."
Non sapevo ancora se sentirmi a mio agio in sua presenza o meno.
"Come avrà notato è iniziato da qualche settimana. E le iscrizioni sono chiuse."
"Ma devo frequentare un corso extracurriculare prima degli esami di fine anno. E non saprei che altro fare" ammisi.
Milton mi studiò qualche istante. Poi parlò.
"Se desidera partecipare sarà necessario che mi mostri le sue capacità. È un corso avanzato, non per principianti, senza un minimo di predisposizione non avrebbe alcun senso frequentarlo."
Lo fissai confusa.
"Intendo dire che dovrei vedere che cosa sa fare" spiegò.
Pensai che avevo un sacco di materiale nello zaino, avevo finito tre interi rullini negli ultimi giorni dopo aver imparato da Sten come sostituirli.
Non avevo idea di cosa sarebbe uscito fuori una volta stampata la pellicola, le mie capacità non erano oscure solo al professor Milton.
"Le farò avere tutto entro l'inizio della prossima settimana." Presi coraggio, in fondo avrei dovuto cominciare da qualche parte.
"Perfetto, signorina Murphy. Io sarò qui ad attenderla." Mi rivolse un'occhiata paziente e mi salutò con un cenno della mano.

*

Mi presentai da Sten per consegnargli tutti i rullini che avevo ultimato. Lo supplicai di farmi avere le stampe quanto prima e mi diede appuntamento per il ritiro alle tre del giorno successivo.
Dopo la scuola raggiunsi il centro.
Appostata fuori dal negozio aspettai a lungo che Mad se ne andasse, ma trascorsa quasi un'ora rinunciai all'idea. Era dietro allo spazioso bancone di legno che ripuliva con maniacale precisone le macchine esposte nella piccola vetrina.
Qualcosa mi spingeva a mantenere le distanze, ero attratta dalla sua persona, ma allo stesso tempo, per qualche oscuro motivo, ne ero spaventata.

Mad ricordava la purezza della neve, immacolata e calma incuteva un certo timore.
Per una come me era facile scoraggiarsi di fronte a tutto ciò che trasmetteva completezza. Perché io ero imperfetta.
Provata nell'animo e spezzata nel cuore.
Mad si voltò appena sentì il campanello appeso alla porta tintinnare. Mi scrutò con attenzione e mi sembrò mi stesse seriamente valutando.
Percepii i suoi occhi grandi tra i ciuffi di capelli, sulle maglie larghe del maglione che indossavo, percorse una a una le dita esili delle mani quando le appoggiai sul bancone.
"Sei qui per le foto?" chiese, ammorbidendo d'un tratto l'espressione sul volto.

Annuii.
"Devi aver lavorato molto per fare tutti quegli scatti" aggiunse, aprendo un grande cassetto sotto la cassa.
"Finn mi ha regalato una macchina fotografica, sto tentando di capirci qualcosa" ammisi.
Posò un piccolo pacchetto di carta sul ripiano di legno e inaspettatamente lo aprì.
Le stampe erano legate da uno spago sottile, lo sciolse sotto i miei occhi e cominciò a scorrere le immagini una dietro l'altra.
Non mi chiese se mi andava che desse un'occhiata, per questo il suo gesto mi fece sentire a disagio.
"C'è qualcosa di familiare nei tuoi soggetti, qualcosa che stranamente riconosco" disse. "E a quanto pare, hai talento da vendere."
Non riuscii a trattenermi, e prima che le guardasse tutte, allungai la mano e le risposi dentro la busta.
Mad sorpresa alzò lo sguardo su di me.

"Com'è condividere casa con Jamie?" La domanda fu diretta e secca. Tanto da stordirmi per un lungo momento.
Tutti parevano sapere chi fossi, tutti sembravano essere a conoscenza del particolare rapporto che mi legava a Jamie.
"Oh" sussurrai, riponendo le fotografie nella busta. "Direi che è ... strano."
Mad rise, coprendo elegantemente le labbra con il palmo delle mani.
"Sì" concordò. "Lui fa questo effetto."
"Sai" aggiunse poco dopo. "Io mi ricordo di te."
"Davvero?"
"Sì."
La mancata aggiunta di informazioni mi sorprese.
Avrei voluto chiederle come si ricordasse di me, perché e soprattutto quale fosse il momento che mi aveva resa indelebile nei suoi ricordi. Ma non dissi nulla, mi limitai a ringraziarla per le foto e uscii di fretta dal negozio.

*

Entrai in casa con le gambe intorpidite dal freddo. Avevo camminato di fretta, volevo solo entrare nella mia stanza e aprire il pacchetto che avevo riposto con cura nello zaino.
Seduta sul letto sciolsi lo spago, studiai le fotografie, controllai la nitidezza, la vividezza dei colori e l' inquadratura.
Notai che erano mosse, poco centrate e quasi irrealistiche e mi scoraggiai.
Ma sfilandole una a per una mi resi conto che mano a mano che procedevo diventavano qualcosa di diverso. Qualcosa di sconosciuto.
Non ricordavo i soggetti.
Il primo dubbio mi sfiorò quando fissai l'immagine di un lago ghiacciato: io non mi ero ancora addentrata così tanto nel bosco.
Lo ricordavo bene quel luogo, ma era un frammento sbiadito nei miei ricordi, c'ero stata una sola volta, e molti anni prima.
Una frenesia vicina al panico mi assalì, cominciai ad accumulare sulle ginocchia alcuni scatti, separandoli dagli altri.
Il dettaglio particolareggiato di un fiocco di neve.
L'inquadratura di Jackson Hole vista da lontano.
Un cielo spezzato da nuvole grigie e gonfie.

Tutto divenne confuso quando ne trovai uno che immortalava Finn dietro casa intento a tagliare la legna. Aveva le maniche della camicia a quadri risvoltate sugli avambracci, un ciuffo di capelli scompigliato sulla fronte e l'accetta ben salda tra le mani.
Poi strinsi l'ultima fotografia tra le dita.
C'era una strada ghiacciata, i tronchi degli abeti disseminati sul bordo e la luce era ingrigita dai fiocchi di neve che cadevano dal cielo. Tenni gli occhi puntati su tutto il bianco che illuminava la pellicola lucida.
C'era una ragazza al centro, esile e quasi incerta nell'andatura immortalata con precisione.
Le guance erano arrossate dal freddo, aveva un cappello di lana calato sulla fronte e le mani goffamente spinte nelle tasche del giaccone leggero.
I lunghi capelli rossi le ricadevano intricati sulle spalle, un ciuffo mosso dal vento le nascondeva il viso.
Sì, in quel piccolo rettangolo stretto tra le mie dita, c'era una ragazza, ed ero io.

The Untouchable LoveWhere stories live. Discover now