Mamma?

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Ho il viso gonfio ed assonnato ed i clienti continuano a guardarmi come se provenissi da un altro pianeta.

Il tempo di oggi è nettamente migliorato ed il cielo non minaccia alcuna precipitazione.

La nottata di ieri è stata pressoché imbarazzante ed ho costretto Gabriel a lasciarmi dormire sul divano, dove ho riposato malissimo. Non avrei dormito affianco a lui neanche per tutto l'oro del mondo.
Sarei stata a disagio tutto il tempo, quindi optare per il divano scomodo ed una notte di intensi tuoni è meglio che dormire accanto al mio gigoló.

Questa mattina, quando ero ancora a casa sua, l'atmosfera era silenziosa ed imbarazzante. Abbiamo fatto colazione senza dire nulla, scambiandoci qualche sguardo di tanto in tanto.

La sua figura mattutina è paradisiaca e mi sento un'adolescente con gli ormoni a mille dopo aver fatto questo paragone, ma è la verità.
I capelli gli cadevano disordinati su tutto il volto, più disteso e rilassato, accompagnato da un paio di occhi socchiusi, ma da dove il celeste padroneggiava sempre, non si nascondeva.

Finita la colazione e dopo esserci preparati, mi ha accompagnato fino al parcheggio del supermercato, dove il giorno prima avevo lasciato la macchina. Nella sua aveva un po' di benzina, lasciata in uno di quei contenitori grandi ed opachi, con cui ha riempito il serbatoio della mia BMW.

-Signorina, mi sente?- una mano sconosciuta sventola davanti la mia faccia, costringendomi a scuotere la testa e tornare con la mente nel presente.

Una donna sulla quarantina, grassottella e vestita da muratore mi sorride, poi posa con un tonfo la mano sul bancone.

-Mi scusi signora, ero distratta- rispondo avvampando e guardando verso il basso.

Mi rivolge un altro sorriso per poi fare la sua ordinazione.

Non riesco a non pensare a ieri sera, ai momenti passati con Gabriel, alle sue mani sul mio viso, alla sua espressione dispiaciuta quando è uscito l'argomento su Miss Monique.

Tutti questi pensieri fuori campo minacciano la tazzina del caffè a rovesciarsi sul pavimento, ma riesco a fargli riprendere l'equilibrio. Guardo dispiaciuta verso la figura della donnona, che nel frattempo mi lancia uno sguardo fulminante. Devo ammettere che per colpa delle mie distrazioni ci sta rimettendo una povera cliente.

Poso con delicatezza il caffè ed una ciambella sul bancone spingendole verso la signora che torna a sorridermi.

Le campanelle d'entrata tornano a trillare, segnando l'arrivo di un nuovo cliente. Giro leggermente il volto verso la porta e faccio un tuffo nel passato più profondo che ho.

Una donna stretta in un tubino nero, un paio di tacchi a spillo, una pochette e fini, costosi gioielli attaccati sul collo e sui polsi. La sua camminata è leggera e composta; il fisico asciutto e i capelli raccolti in una coda liscia ed altissima.

La conosco, la conosco troppo bene.

Mamma.

Strabuzzo gli occhi e boccheggio incredula davanti la sua figura. Non so se nascondermi, far finta di nulla o affrontare la situazione, ma lei anticipa tutte le mie possibili scelte, piazzandosi davanti la cassa, poco distante dal lato del bancone dove io la guardavo incredula. Sembra non essere invecchiata di una virgola.

Gira lo sguardo verso di me e pianta saldamente gli occhi sui miei, ancora scossi. Lei non reagisce, è impassibile. So che mi ha riconosciuta o almeno lo spero.

-Non servi la tua adorabile mamma?- rompe il ghiaccio, parlando con tono quasi sarcastico. Sobbalzo e mi avvio verso di lei con passi insicuri.

-Ciao- dico in un sussurro, provando in tutti i modi a non guardarla. Sembro una stracciona in confronto al suo portamento deciso e di classe.

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