4.You are my confusion

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Come to me tonight
*Vieni da me stanotte*




Mi guardo allo specchio appannato, cerco di ritagliarmi uno spazio dove potermi osservare.
Lascio cadere l'accappatoio, da quanto non mi guardo completamente nudo in questo modo?
Forse non l'ho neppure mai fatto.
Gli occhi che mi rimanda lo specchio sono i miei, ma mi appaiono quelli di un estraneo.
Ho la netta sensazione di starmene in un angolo ad osservare un ragazzino di statura media, un po'esile , nonostante il calcio, dai capelli di un castano che è quasi cioccolato e dagli occhi profondi dal taglio dolce e dalle ciglia lunghe.
Mi accarezzo le labbra che sono morbide e sembrano quelle di una ragazza, mentre io le vorrei sottili e feroci, vorrei zigomi spigolosi e non teneri, lineamenti aspri e non delicati.
I capelli castani si sono un po' allungati in queste settimane, avrei già dovuto tagliarli.
E' da quando avevo circa dieci anni che ho lo stesso taglio di capelli, ora invece i ciuffi mi entrano negli occhi e la nuca non è più pulita dal rasoio.
Mio padre ieri mi ha guardato con uno sguardo esaminatore.
"Non è ora che ti tagli i capelli?" mi ha chiesto con voce neutra.
Nessuna intonazione particolare se non forse un lieve accenno di sorpresa per aver trovato qualcosa che in me non era come sempre, al quale già non avevo provveduto io, senza aspettare che lui me lo dicesse.
Da quanto non accadeva?
Non lo ricordo assolutamente più.
Mi rivesto in fretta, è tardi, non posso presentarmi in ritardo al primo appuntamento.
Inaccettabile.
Harry mi ha chiamato al telefono meno di un'ora fa, chiedendomi...no... ordinandomi di raggiungerlo.
"Ti aspetto a casa mia, ti concedo un'ora al massimo per essere qui, questo é il mio indirizzo.." blatera qualcosa come un 21/a o 31/o ma non capisco bene.
Così senza una spiegazione, senza un motivo.
E il mio tentativo di spiegargli che non potevo, che stavo studiando, che altrimenti non sarei riuscito a recuperare tutto quello che la settimana di malattia mi aveva fatto perdere; tutte le mie patetiche ragioni sono andate a sbattere contro la comunicazione già interrotta, prima che io avessi il tempo di aprire la bocca.
Ed ora sono qui, davanti alla sua porta.
Non voglio chiedermi nulla, voglio solo sapere cosa troverò al di là.
E quando dopo aver suonato, la sua voce mi dice di entrare che è aperto, quando varco la soglia e mi chiudo la porta alle spalle e rimango immobile, solo allora capisco che cosa cercavo.
Perché lui è sdraiato sul divano con una sigaretta in bocca e i capelli stropicciati di chi si è appena alzato dal letto dopo un sonno agitato e indossa jeans scuri così stretti da sembrare una seconda pelle e una maglia maniche corte nera che mette in mostra un tatuaggi.
Si mette seduto, mi osserva.
"Ti vesti da fare schifo, sei quasi più eccitante con la divisa" osserva sprezzante.
Lo so, lui invece è un'altra persona, lui è completamente diverso.
Se possibile ancora più pericoloso.
Estraneo.
Discorde.
Dominante.
"Perché sei venuto?"
"Perché me lo hai detto tu"
Già è così semplice, non c'è nessun altra ragione d'andare a scoprire.
Ridacchia e il suo riso questa volta non è aria fredda di tramontana, ma brezza tiepida.
"Risposta esatta! Sapevo che sei intelligente, hai già capito come funziona il gioco"
Mi si avvicina, mi osserva con aria scrutatrice e io *come sempre quando mi guarda* mi sento completamente inadeguato.
"Hai ripensato a quello che ti ho detto in soffitta?"
"A cosa?"
"Ho appena detto che sei intelligente, non mi piace essere smentito"
"Vuoi dire se io sono..."
" La frase che ho usato non era una dubitativa, non ho usato nessun se, era una dichiarativa. Frocio, gay, omosessuale, insomma ti piacciono i maschietti. Te ne sei reso conto alla fine?"
"Ti sbagli"
"Io non sbaglio mai, soprattutto per quanto riguarda queste cose. Comunque quante ragazze hai avuto Louis?"
Non rispondo.
"Nessuna? Vuoi dirmi che a sedici anni non ha mai avuto una storia con una ragazza. A chi pensi quando ti fai una sega?"
Non rispondo.
In realtà non saprei che dire, il sesso è sempre stato per me qualcosa di lontano e di poco attraente, non certo un bisogno impellente.
"E quei baci di cui mi hai parlato ti sono piaciuti?"
In realtà anche se non è passato molto tempo li ho quasi del tutto cancellati dalla memoria.
Il primo con una compagna di scuola, in bagno. Per lei era una scommessa: nessuno pensava che riuscisse a baciarmi. Per me un'esperienza da archiviare, ricordo solo il suo sapore nella mia bocca, sgradevole.
Gli altri con una ragazza: la mia prima storia.
Storia?
Durata: quindici giorni al massimo, troppo poco per definirla storia! Niente di eclatante, baci che erano quasi un dovere che lei in qualche modo sembrava attendersi da me.
"Non particolarmente" nicchio.
"E quello che ti ho dato io in soffitta ti è piaciuto?"
Come potergli spiegare che in quel momento era come se qualcun altro si fosse impossessato del mio corpo, che non potevo far altro che farmi baciare e che sì avrei voluto che non finisse così presto.
Arrossisco.
"Sei imbarazzato?" ride, "Solo per un bacio? Forse avevi ragione tu, sei una verginella dell'ottocento, una signorina ben educata e timorata di Dio o perlomeno è quello che credi di essere, ma io ti farò scoprire chi sei in realtà, non sarà forse del tutto piacevole ma sarà vero"
La verità!
Ora forse comincio a capire ciò che mi ha spinto a casa di Harry.
Quello che spero di trovare in questa stanza ampia e arredata con cura, quasi lussuosa, ma completamente immersa nel disordine più completo e nella sporcizia, è la verità.
La verità su ciò che sono, sui miei veri desideri, su quella parte di me che non ho mai saputo neppure che esistesse e che solo ora ha cominciato a fare capolino.
Voglio conoscerla, anche se mi fa paura anzi mi terrorizza, voglio sapere, voglio averci a che fare.
E la stanza di Harry Edward Styles è il paese delle meraviglie e io mi sento tanto Alice: catapultato in una realtà che non ha più parametri misurabili, sovvertita, scombussolata, mutevole in continuazione.
Lui si avvicina ancora di più.
Ormai mi è accanto.
Dominante.
"Da questo momento si fa sul serio Tomlinson, da questo istante tu sei solo mio, legato a me per sempre, di mia proprietà; non dovrai più frequentare nessuno, non amo spartire le mie cose con gli altri. Sei d'accordo?"
Annuisco tremando.
Sento le sue mani sul mio corpo.
Mi toglie il giaccone, poi la camicia pesante.
Scruta il mio torace.
Si inginocchia, mi fa alzare un piede per volta togliendomi scarpe e calze.
Mi slaccia i pantaloni e infine fa scendere le mutande.
Ho troppa paura di quello che sta succedendo, di quello che succederà.
Ma rimango immobile senza fare neppure un gesto per coprirmi, per ribellarmi.
Mi prende per mano, mi conduce dalla soglia, dove sono rimasto finora, al centro del soggiorno.
La cucina è posizionata in un' ala della stanza un po' appartata.
Ci sono piatti sporchi accumulati nel lavello, resti di cibo, lattine, bottiglie, sigarette spente, giornali, vestiti, tutto nella stesso conglomerato maleodorante.
"Da qualche giorno la signora delle pulizie non viene, cerca di renderti utile, voglio un lavoro di precisione, non mi piace vivere nella sporcizia, però odio pulire"
"Vuoi che ti ripulisca la casa?"
"Soggiorno e cucina per oggi, tutto l'occorrente lo trovi in quello sgabuzzino"
Torna a stravaccarsi sul divano, impegnato a rollarsi una canna.
E io eseguo questo ordine assurdo e mentre cerco di organizzarmi in quel caos da discarica, mentre lavo i piatti incrostati, butto in pattumiera i resti di cibi andati male, spazzo per terra, passo lo straccio, raccolgo ai suoi piedi mozziconi di sigarette, sento i suoi occhi che non mi lasciano un attimo e il turbamento di essere nudo come un verme e di essere utilizzato come surrogato di donna delle pulizie, mi appaga.
Mi vergogno da morire, mi sento usato in modo ignobile, mi sento umiliato e tutto questo in qualche modo perverso mi soddisfa.
Così come mi completa il suo sguardo sulla mia schiena e sul mio corpo, il suo soffermarsi con evidente intenzione sui miei genitali, sulle mie natiche.
E quando ormai chinato per riporre le ultime stoviglie che ho lavato e asciugato, sento il suo pene in erezione appoggiarsi sulle mie natiche, le sue mani arpionarmi i fianchi e il suo bacino strusciarsi contro il mio fondo schiena, allora la vergogna diventa quasi intollerabile e sarebbe quasi automatico allontanarsi, scostarlo, mandarlo al diavolo, urlargli tutta la mia mortificazione.
Ma sto zitto e sento che per tutto ciò che ho fatto oggi, questa è la mia ricompensa.

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SPAZIO AUTRICE

Sbadabammmmm.
Stranamente succedono sempre queste cosuccie.
Evvabhè capita, quando si è eccitati no?

Spero che come capitolo anzi come storia in generale vi piaccia e non vi faccia annoiare sopratutto.
Dopo questo mi dileguo e vado a pensare ai prossimi capitoli.

Besos.
Letstrytowrite.



You are my fetishWhere stories live. Discover now