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Sono le 6.30 del mattino e Claudio spegne la sveglia. Dormirebbe ancora altri anni. Mario è accanto a lui, a pancia in giù, con i ciuffi neri che spuntano da sotto al cuscino. Claudio gli bacia il gomito e facendo attenzione a non svegliarlo si alza e si prepara. Prima di andar via però, come sempre, torna sotto la zanzariera per baciarlo sulle labbra. "Mi lasci solo?". Claudio sorride. "Devo andare dai bambini". Mario sbuffa. "E lo shock culturale?". Claudio ride. "Sono passati tre giorni. Se dormi ancora un po' ti passa, ne sono sicuro". Mario si infila ancora di più sotto al cuscino e brontola qualcosa mentre Claudio scappa via.

Claudio entra nella clinica. Ancora non conosce lo staff. Negli ultimi giorni più che altro ha osservato ed ha compreso la mancanza di tempo per lui. Dio quanto hanno bisogno. Oggi finalmente si può respirare e mentre segue l'infermiera che gli mostra il posto a grandi linee, tocca i piedini di bimbi annoiati ed abbandonati. "Sei venuto da solo?". Claudio si ferma all'improvviso e guarda Camilla. Eccoci. "Mmm no. Non sono da solo". Camilla sorride. "Tua moglie?". Claudio si odia e può sentire lo sguardo di Mario fino a lì. "Più o meno...". Camilla è confusa ma non vuole essere invadente. "Ok...dai vatti a cambiare, iniziamo subito".

Mario si alza con calma, si stira, si affaccia in boxer per capire la situazione. Oggi fa caldo. Sente grida e schiamazzi da qualche parte lì vicino. Deve pisciare. Si mette jeans e maglietta e va al Centro. Mentre esce dai bagni scorge Claudio nell'edificio di fronte. Indaffarato, di fretta, ogni tanto si ferma a pensare un secondo e poi riparte. Mario sorride e lo lascia lì. Cammina per il paesino, deve parlare con chi conta. Ci sono dei bambini che giocano a calcio. Gli arriva la palla. Mario la ferma. Ne chiama uno con la mano. "Tu, vieni qua". Un bimbo tutto occhi e poco altro corre da lui sorridendo. Con un inglese fatto di gesti dice, "Sto cercando il capo tribù. Sai dov'è?". Il bambino ride. Mario mima un militare, disegna sulla terra una bandiera con una persona che la regge, gli indica le case. Il bambino ridendo gli prende la mano e lo tira. Mario si lascia trascinare. Il bambino lo lascia davanti ad una specie di capanna. Tante donne colorate per la strada. Trasportano acqua, ceste di semi, cuccioli. La testa di Mario sta andando in cortocircuito per la bellezza dei colori. Ma prima deve fare una cosa. Non si può bussare, non c'è porta. Scosta la tenda, un signore anziano è seduto per terra. Forse lo stava aspettando. Non sa esattamente chi sia. Forse è solo il nonno del bimbo. Ma poco importa a Mario. Lo saluta con la mano. Entra incerto e decide di sedersi di fronte a lui. Si guardano a lungo.

Si guardano come zingari nel deserto.

Mario è rapito dai disegni sulla pelle del signore, non riesce a concentrarsi. Il signore sorride. Mario risponde.

I loro occhi neri traducono. Mario vuole comunicare quello in cui crede, quello che privarsene significherebbe morire. Si mette una mano sul cuore poi stringe il pugno e se lo strappa dal petto. Lo tiene un po' sospeso e poi lo regala ad un punto nell'aria dove disegna una sagoma. Abbraccia la sagoma d'aria chiudendo gli occhi e poi guarda il signore. Indica il punto dove c'era la sagoma e poi con gli occhi lucidi indica se stesso e le sue sembianze d'uomo. Si fissano a lungo.

Il signore interrompe il silenzio con altri gesti. Indica la sagoma d'aria e poi il suolo. La persona è qui? Mario annuisce. Il signore sorride. Indica se stesso e con il dito fa segno di no. Poi indica il cielo e disegna un sole ed una luna e apre le braccia indicando il tutto, il mondo. Indica Mario, indica la sagoma e li abbraccia.
Non decido io, questa terra ama tutti indistintamente.
Mario ha un'espressione seria ma una lacrima gli riga il viso. È come se stesse scoprendo i segreti dell'universo, come se davanti a lui stessero dipingendo l'amore. Unisce le mani, si piega leggermente in avanti. Grazie.

Esce di lì più pesante, pesante di ingiustizia, di esser nato nel posto giusto ma allo stesso tempo tremendamente sbagliato. Butta indietro le lacrime mentre passa di nuovo in mezzo ai bambini. Gli viene da piangere per ciò che vede in quella clinica, per ciò che vede per le strade, per come si deve sentire una persona che ama il suo stesso sesso. Mondo di merda. Si sente soffocare dagli avanzi di cibo sprecati, dalla discriminazione, dallo sguardo dei suoi genitori quando disse di essere gay. Cosa cazzo pensate eh? Che uno decida come nascere? Che si possa decidere il proprio colore, il proprio cuore? Pensate che non si capisca la paura che avete? Siete solo dei deboli che rinnegano la bellezza della diversità. E fate schifo. Mi fate schifo. Riuscite ad infiltrarvi sotto pelle e ad insinuare paura di vivere, paura di essere. Riuscite a farmi titubare sul mio modo di amare l'uomo che mi ha cambiato la vita solo perché sono in questo posto dimenticato da dio, in mezzo alle credenze più antiche e all'umanità più grezza. Beh, siete voi che non capite. Siete voi da laggiù, da dove vengo, che mi avete reso capace di cedere alla paura. Ma qui io rispondo al sole e alla luna e quindi faccio quello che cazzo voglio.

Mario entra nella clinica. Lo vede laggiù, in fondo a tutti i lettini. Sente il peso della malattia, sente quello che prova Claudio sempre, tutto insieme in una volta sola. Si sente schiacciare, si sente impotente, si sente svegliato di colpo dal sogno di tutta una vita. Si sente tristemente fortunato e riconoscente per le cose vere, per aver trovato Claudio. Si avvia verso di lui. Se ci nascondiamo ora è tutto perso. Se non abbiamo il coraggio ora siamo venuti qui per niente. Se io quando ti guardo provo amore non ci posso fare niente. Sono stato creato così e così devo morire se necessario. Se quando mi sfiori il mio corpo si sveglia, non l'ho deciso io. Sono stato messo al mondo per trovare amore dentro di te e dentro di te voglio finire, voglio venire, voglio arrivare. Se quando mi dici che mi ami non vorrei sentire altre parole per il resto della mia vita, significa che la luna ed il sole quel giorno erano dello stesso sesso. Se quando mi stringi sento di conoscermi significa che la loro pelle è uguale ai miei occhi e dentro i miei occhi tu devi trovare la forza. Se quando ti ho visto la prima volta sapevo che eri tu vuol dire che se fossi nato etero saresti stato donna, ed in qualsiasi forma saresti stato comunque tu. Se quando facciamo l'amore non so dove iniziano e dove finiscono i pensieri, significa che l'amore lo devo fare con te, che dobbiamo viverci il sesso come solo con te funziona e che al cazzo non si comanda porca puttana. La natura mi ha fatto così per poterti amare ed io così lo voglio fare.

Se hai paura non lo fare perché mi tradisci un'altra volta. Io di noi non ho paura e solo di noi voglio vivere. Quindi adesso guardami.

E baciami qui.

Come zingari nel desertoWhere stories live. Discover now