CAPITOLO OTTAVO - ARCADIA

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Non ricordavo di aver mai visto luogo più bello di quello che mi si presentava davanti agli occhi. Poteva essere una simulazione, poteva essere un'illusione, ma ciò non diminuiva affatto ai miei occhi e al mio cuore l'amenità e lo splendore dello spettacolo cui stavo assistendo.

Vidi una distesa erbosa che discendeva con una dolce curvatura verso dei vitigni allineati ad arte. L'erba fresca e smeraldina, perfettamente curata e pareggiata, emanava un profumo fresco e naturale che non avevo mai avuto il piacere di sentire prima d'allora. Alla mia sinistra il colle risaliva con un'altra balza, al di là della quale proveniva il rilassante rumore dello scorrere di un ruscello. In lontananza si sentiva lo sciacquio di una cascatella che terminava nelle placide acque di un piccolo lago azzurro cielo. In esso spiccavano balzi dei pesci argentati, la cui danza intermittente si offriva alla vista con giochi di luce arcobaleno. Tutt'intorno a questa polla d'acqua cristallina c'erano macchie di alberi da frutto di ogni sorta, distribuite con calibrato equilibrio. Mi meravigliava la varietà dell'insieme, ma soprattutto l'intensità dei colori che, a discapito della distanza, apparivano con una nitidezza irreale. C'erano sfumature che non conoscevo e colori che non credevo possibili. Era come se quel luogo avesse la qualità di ampliare lo spettro percettivo umano.

Sulla destra c'era una chiazza di ulivi dalla corteccia argentata. Ovunque si sentiva l'irregolare ma costante cinguettio degli uccelli, che si dilettavano a saltare di ramo in ramo o andavano a piccoli gruppi ad abbeverarsi nei pressi della cascatella. Di tanto in tanto si poteva cogliere l'ombra o il fruscio di qualche cerbiatto o di qualche lepre che compariva da dietro un tronco per osservarci a debita distanza, ma senza timore. Appena sotto gli ulivi si apriva, alla piena luce del sole, una vasta radura, dove dimoravano, in perfetta simbiosi tra loro e con il resto dell'atmosfera naturale, animali di ogni genere: leoni e gazzelle, tigri e buoi, lupi e vitelli, orsi e volpi. Alcuni di questi si spostavano con lentezza, affiancandosi pacificamente ad altri animali, senza che si venisse a creare alcun tipo di conflitto.

Ancora più in basso, la radura mutava colore gradualmente, lasciando spazio ad una spiaggia dorata che, attraverso numerose insenature, contornate da scogli rotondi, si immergeva nel distante baluginio di acque marine.

Di fronte a noi, giù giù in profondità, vi era un immenso salice, alto e largo al di là di ogni possibilità naturale. L'albero troneggiava al di sopra di tutto, come una sorta di replica vegetale del Dedalus. Dai suoi rami stranamente pendevano dei giganteschi frutti circolari di un intenso color carminio. Una tenue nebbiolina ne circondava la base, mentre i rami spiccavano danzando al di sopra di essa, sospinti da una brezza leggera.

Dubitavo seriamente di trovarmi ancora in quella maledetta torre. Amal rise dolcemente del mio stupore e della mia esitazione, quindi disse: «questo è l'ultimo piano del Dedalus, lo chiamano Arcadia, è una simulazione dei giardini e dei boschi descritti nei libri che piacciono tanto a te... non so, boh, forse... come si chiamava quello lì? l'italiano che ha scritto la roba dell'inferno e tutto il resto?... beh insomma, uno di quei tizi folgorati che leggi tu, ha ha ha. Ricordo che una volta mi hai parlato di un posto del genere che sta sopra una montagna, il paradiso terrestre se non sbaglio...». Sebbene il suo eloquio fosse sconclusionato e confuso, dovetti ammettere che aveva colto perfettamente l'analogia. Se questa era veramente la cima di questa montagna del peccato che era rappresentata dal Dedalus, allora sulla vetta non poteva che comparirvi il paradiso terrestre, così come lo aveva inserito Dante Alighieri nella sua opera immortale: "La Divina Commedia"; opera che, a discapito del tempo, in questo mondo in decadenza, veniva ancora studiata.

«Ascolta... io non riesco a comprendere ciò che sta succedendo... sento che c'è un motivo in tutto questo, ho come una sorta di intuizione, qualcosa nel profondo che non riesco a mettere a fuoco. Ma quanto è accaduto, ciò che sto vedendo in questo momento, va veramente al di là della mia comprensione. Com'è possibile? Come può essere reale tutto questo?». Divenne seria, aveva uno sguardo molto dolce, quasi materno, sebbene con un'evidente nota di tristezza. Un angolo della sua bocca si alzò in un mezzo sorriso. «Non posso spiegarti bene questa cosa... ti devi fidare di me e divertirti finché possiamo, non credo di avere ancora molto tempo. Pensa solo che tutto quello che vedi è finto, anche se sembra reale, e che puoi controllarlo un po'... basta che ti concentri e pensi le cose come se le vuoi veramente, non so... con me funziona così. Per te comunque non è proprio la stessa cosa, almeno credo, non so spiegarti...».

Avevo visto cadere il velo di Maya, eppure non riuscivo ad adattarmi alla nuova verità che Amal, nel suo semplice e spontaneo agire, mi aveva rivelato. Non sapevo come muovermi in queste "sue" regole che sembravano appoggiarsi totalmente su di un'irrazionalità che mi era estranea e che riuscivo solamente a gustare passivamente.

«... cerca comunque di non pensare cose brutte, sennò di solito succedono, ha ha ha». Rise con sincerità e mi guardò intensamente e tristemente, come se intuisse che non avremmo avuto altre occasioni per incontrarci. Ma ora non riuscivo a pensare ad altro che a lei. Era sicuramente un sogno o un'illusione, ma, proprio per questo, il mio gesto fu spontaneo. La cinsi dolcemente alla vita, lei abbasso la testa. Posai la mia mano sinistra sulla sua nuca. Lei alzò gli occhi verso di me, anche se teneva la bocca rivolta verso il basso. Mentre il cuore mi balzava alla gola la cercai con le labbra sollevandole il capo e la baciai, prima per un istante, poi ad occhi chiusi più a lungo. Mentre le nostre labbra si intrecciarono mi sentivo una cosa sola con lei. La sensazione svanì svaporando e lei scomparve scivolando via, come sabbia tra le dita.


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