XII

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02 novembre 1550, Russia.
E' passato molto tempo dall'ultima volta nella quale ho riportato i miei pensieri su questo diario, essendo accadute molte cose spiacevoli.
Tre giorni dopo, il 28 ottobre, sono riuscito a trovare lei, un concentrato di rabbia, ribellione, sfrontatezza e capelli rossi. Le ho dato il nome Roxelana per via dei suoi capelli, di un colore talmente acceso da non averlo mai visto prima. Sono certo sarà una degna concubina per il mio adorato fratello e una volta messa in riga e capito qual è il suo posto, potrà adempiere ai suoi doveri correttamente. 
Credo mi odi profondamente e il sentimento è reciproco. E' di un arroganza tale da farmi impazzire e non vedo l'ora di ritornare a Costantinopoli, ritornare dalla mia adorata Hatice, il mio primo, vero e unico amore. 
Siamo stati attaccati durante il viaggio di ritorno e sono riuscito a mettere in salvo Roxelana per miracolo, poiché un maledetto russo l'aveva quasi dissanguata. Tutto il resto delle ragazze che sarebbero state annesse all'Harem, sono state uccise durante l'attacco, così come quei raccapriccianti mercenari. 
Io e la rossa siamo riusciti a scappare per miracolo e arrivati in una piccola città portuale, da dove abbiamo preso la nave di mio fratello Drake e Fiammetta per giungere fino a Costantinopoli. E' da qui, che adesso sto scrivendo, con un braccio ferito e Roxelana svenuta sul letto dei miei fratelli. 
Credo che dopo tutta questa faccenda, dormirò per giorni interi. 
Fiammetta ha avuto una delle sue visioni, nella quale affermava che sarei morto per colpa sua, di Roxelana... Ho sempre temuto le sue premonizioni molto internamente, che sia vero? Ma come? Io e la rossa non avremo più modo di parlare d'ora in avanti... Mi chiedo, se tutto ciò abbia senso e se Fiammetta sia riuscita a decifrare perfettamente la sua visione.”

Il giorno dopo Zafiraa era scomparsa. Mustafà fu svegliato dai raggi luminosi del sole, la parte che lei aveva occupato vuota e il silenzio tombale che gli faceva fischiare le orecchie.
Si mise seduto, guardandosi attorno, confuso e svestito. Guardò le lenzuola, sporche di sangue; per terra c'erano le due camicie da notte e nulla più.
-Zafiraa! - La chiamò, nella speranza che ella si fosse nascosta, ma non ricevette risposta. Si alzò, mettendosi gli stessi abiti del giorno precedente, inciampando mentre si allacciava gli stivali di corsa. - Sei un idiota, che cosa hai combinato! -
Uscì dalla stanza, correndo per i corridoi e osservando qualsiasi angolo buio, stanza aperta, interrogando qualsiasi servitore o servitrice. Di lei, dei suoi capelli, non c'era traccia. Cominciò a correre, ignorando lo spettacolo che stava dando; aveva solo un pensiero per la mente, una sola persona. Doveva trovarla, doveva dirle qualcosa e cercare di spiegarsi, come meglio poteva. Dopo una notte del genere, nella quale lei gli aveva dato tutto ciò che le era rimasto, tutta se stessa, dopo che gli aveva lasciato prendere il comando, sapendo quanto importante era per lei, non poteva, non doveva lasciarla andare in quel modo.
Solo per questa notte, aveva detto. E lui aveva annuito, drogato di lei e del suo odore. Ma doveva dirglielo, doveva dirle che sarebbe restato per tutta la vita, se solo lei avesse voluto. Avrebbe persino abbandonato Fatma per lei, avrebbe abbandonato qualsiasi cosa. Poteva sembrare prematuro un pensiero del genere, folle, non degno di un uomo forte come lui, ma i fatti stavano così; la realtà era quella e non avrebbe potuto essere più meravigliosa e spaventosa al tempo stesso.
Quando girò l'angolo, il principe ereditario si scontrò con la sultana, il sultano e Fatma, che gli sorrise felice di vederlo.
-Scusatemi, ma ho del lavoro da fare. - Disse, non degnando di un solo sguardo nessuno dei presenti e continuando a far muovere gli occhi in maniera irregolare alle loro spalle, quasi in modo demoniaco. Il sorriso di Fatma si spense e i sultani lo guardarono stupiti. Ignorò le urla e gli ordini di suo padre che gli imponevano di ritornare indietro e scusarsi, continuando a correre.
Alla fine la trovò, seduta in un angolino buio, vicino alle cucine, che giocherellava con i suoi lunghi capelli bianchi, sola. Gli altri servi le passavano accanto, facendo finta di non vederla.
-Zafiraa... - Sussurrò lui tra il fiatone e l'agitazione. Lei alzò la testa e gli puntò addosso quei grandi occhi verdi, resi lucidi dal pianto. Si inginocchiò e l'afferrò per le spalle, facendola alzare. Mustafà poggiò la mano sulle sue guance, osservandola. Lei lo guardò, ma non aggiunse altro. - Finalmente ti ho trovata. -
-E' qui che passo la maggior parte del mio tempo. Se avevi bisogno di qualcosa, potevi mandarmi a chiamare. Non devi venire qui. - Zafiraa si allontanò da lui, appoggiandosi al muro.
-Non mi servi in quel senso. Volevo parlarti. -
-Di che cosa? -
-Di questa notte. -
-Non c'è nulla da aggiungere. -
-Io credo di sì, invece, e tu lo sai benissimo. -
-Ho detto che non c'è nulla da aggiungere! - Mustafà venne spinto via da Zafiraa, che fuggì per l'ennesima volta lontano da lui e da tutti i suoi buoni propositi. - Non puoi fuggire per sempre. Per te ho trattato male mio padre, il sultano! -
-Non te l'ho chiesto io! -
-Non ti lascerò di certo farti andare via così, oggi non sarai tu ad avere l'ultima parola, mia cara Zafiraa. - Mustafà le corse dietro, sotto lo sguardo stupito di tutti i servitori, che cominciarono a sussurrare furtivi.



Rinnegati: Neve e FuocoWhere stories live. Discover now